Il Naufragio di Pietro Querini

Sagittario, 2018 – La storia di Pietro Querini, mercante coraggioso, viene ricostruita da Giorgio Toffano in un bel testo divulgativo, che ci fa comprendere bene quanto fosse difficile e pericoloso navigare nel Quattrocento e ci offre un bello spaccato della realtà dell’epoca.

Recensione e commento di Riccardo Pasqualin

Il mercante veneziano Pietro Querini (1400?-1448), suo malgrado, è stato protagonista di una scoperta importante per la cucina veneta: quella dello stoccafisso.
Patrizio e signore di alcuni feudi nell’isola di Candia, all’inizio degli anni ’30 del Quattrocento, il nobiluomo maturò il progetto di commerciare vino e spezie con le Fiandre e da qui ebbe inizio la sua grande avventura. L’aristocratico partì con la sua nave il 25 aprile 1431, con rotta Gibilterra, desideroso di stabilire nuovi lucrosi traffici. Tuttavia, superato Cabo Finisterra, la sua imbarcazione fu perseguitata dalle tempeste e vagò al largo per settimane.

Quando il naufragio era imminente, i marinai decisero di mettere in acqua due scialuppe e di dividersi. Solo uno dei due legni, cioè quello con a bordo il Querini, riuscì a toccare terra, raggiungendo l’arcipelago norvegese delle Lofoten, dove i marinai sopravvissero nutrendosi con ciò che trovarono. Il gruppo di naufraghi fu poi scorto da alcuni pescatori dell’isola di Røst (Norvegia), che li condusse presso il pacifico villaggio scandinavo.

La popolazione di Røst era in massima parte dedita alla pesca del merluzzo e alla sua essiccazione, non deve quindi stupire se i veneziani tornando a casa si portarono con sé una buona quantità di stoccafisso, che rivendettero a prezzi vantaggiosi nella città di San Marco. Nacque così la tradizione del baccalà, ancora oggi amatissimo dai veneti; cibo adatto ai digiuni, ma ottimo anche per rallegrare le feste in famiglia. Nell’isola di Sandøy, in ricordo dell’impresa di Querini, si trova un cippo commemorativo, segno di amicizia tra l’Italia e il popolo norvegese.

Il padovano Giorgio Toffano, medico, appassionato di navigazione da diporto e regate veliche, ha dedicato un piccolo volume alla singolare storia che abbiamo appena riassunto: 1432. Il naufragio di Pietro Querinipubblicato nel 2008 da Sagittario.
Toffano ha compendiato e confrontato tra loro due diari di viaggio: quello del comandante e armatore della nave, cioè il Querini, e un altro, firmato da due membri della ciurma, il consigliere alla navigazione Cristoforo Fioravante e lo scrivano Nicolò di Michiel. A queste fonti si aggiungono altre notizie sui luoghi toccati dalla sfortunata spedizione, che completano un bel libretto divulgativo di 42 pagine, accessibile a tutti i lettori.

L’equipaggio di Querini, in realtà, era composto da uomini di origine diversa, che condivisero con lui le sue sciagure:

“Giunti a fatica a Cadice, i marinai svuotano la barca e la tirano in secco; le riparazioni durano un altro mese, così che solo alla fine di giugno possono riprendere il mare, forse appena in tempo per affrontare il Golfo di Guascogna prima dell’inverno. Prima di mollare gli ormeggi vengono a sapere della dichiarazione di guerra tra Venezia e Genova; per questo assoldano 21 armati spagnoli portando l’equipaggio da 47 a 68 uomini”.

Tante furono le difficoltà affrontate da questi eroi del mare, che patirono privazioni pesantissime.
Molti sono i dettagli significativi di queste vicende, basti pensare che una volta raggiunta l’isola dei suoi salvatori il Querini comunicò con il prete del paese in latino, lingua universale che ha sempre unito i popoli, ma di cui oggi (stoltamente) non è potenziato lo studio sin dalla più tenera età.
La storia di questi mercanti coraggiosi – che dovrebbero essere d’esempio per gli imprenditori italiani dei nostri giorni – ci fa comprendere bene quanto fosse difficile e pericoloso navigare nel Quattrocento e ci offre un bello spaccato della realtà dell’epoca.

da sololibri.net