Le pietre di Venezia
di Antonella Todesco
La prima casa veneziana in pietra di cui si abbia notizia è quella nominata nel testamento di Giustiniano Parteciaco. Nel documento non c’è nulla che possa far risalire ad una sua forma architettonica, si sa soltanto che questa casa, sicuramente anteriore al secolo nono, era rivestita da “lapidibus”, materiale che quel testamento dispone venga usato per costruire la Basilica di San Marco.
Quello di “riadoperare”, di riciclare cioè materiale edile da costruzioni in disuso, è una caratteristica tipica dei costruttori veneziani.
Il materiale di recupero consisteva soprattutto in relitti marmorei, specie se scolpiti: colonne, capitelli, architravi, cornicioni ecc. ma anche di materiale non elaborato poiché anche le pietre erano preziose per via delle condizioni iniziali di vita della città.
Prima i veneziani furono costretti a giovarsi di tutto ciò che potevano racattare e trasportare, in seguito poterono scegliere ed è questo il momento in cui interviene l’intenzione artistica, così il problema da pratico e funzionale divenne estetico.
I navigatori ed i mercanti veneziani iniziarono così a portare un patria tutto ciò che appariva loro adatto ad abbellire la città preferendo le cose “brillanti” e colorate, e lo “incastrarono” nel proprio nido.
Ma c’erano anche precise disposizioni della Signoria, che facevano obbligo ad ogni Capitan da Mar, di trasportare, oltre alle mercanzie, un quantitativo di materiale da costruzione e decorazione.
In qualche caso il materiale importato era qualcosa di più di frammenti erratici: i veneziani arrivarono a “smontare” interi piccoli edifici, a trasportarne gli elementi e a rimontarli in patria.
Esempio tipico fu un sacello del tardo secolo V dei Santi Vittore e Corona, smontato a Cerinia di Cipro e rimontato a Venezia quale martyrium preesistente alla chiesa di San Moisé e infine regalato dai veneziani al benemerito crociato feltrino Giovanni di Vidor e da quest’ultimo fatto rimontare nel 1055 presso Feltre, sua città, dove ancora si trova sotto il vocabolo dei Santi Vittore e Corona.
La tradizione della pratica del “riciclo edilizio” si perpetuó a Venezia nel corso dei secoli, anche quando i veneziani non ne avrebbero più avuto bisogno, cioè quando poterono disporre di tutto il materiale lapideo desiderabile, e continuarono ad utilizzare per ogni edificazione o ristrutturazione gli elementi più preziosi e gli inserti più elaborati, nonché le pietre. Essi continuarono così la tradizione, come riporta Enrico Dandolo, di “andar “redugando” le nobele piere marmore(e) et cote, et cum quele fabricar ecclesie et muri et caxe…”
liberamente tratto da: “Venezia, nascita di una città” di S. Bettini