LE PASQUE VERONESI – PARTE 3^ – LA BATTAGLIA
adattamento da un testo del Comitato per la Celebrazione delle Pasque Veronesi *
Proseguiamo il racconto dei fatti noti sotto il nome di Pasque Veronesi. In questa parte si descrive il cuore della insurrezione, la rivolta in città, le battaglie, fino alla capitolazione finale ai francesi.
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Il 17 aprile 1797, Lunedì dopo Pasqua, le continue provocazioni francesi fanno sorgere i primi incidenti.
Quando, alle 17, durante i Vespri, le batterie dei castelli sovrastanti la città e che sono in mano nemica, iniziano a cannoneggiarla, i veronesi esasperati insorgono come un sol uomo al grido di Viva San Marco!, mentre le campane a martello avvisano anche il contado che la sollevazione generale è iniziata.
Per nove giorni si combatte casa per casa; tutte le porte sono liberate; assaltate le piazzeforti; inviate richieste d’aiuto a Venezia, nel cui nome e nel cui interesse si battaglia e si muore e all’Impero, che però proprio in quei giorni aveva siglato con Bonaparte i preliminari di pace a Leoben. Il popolo, inesperto nel maneggio dei cannoni, è soccorso da sei artiglieri imperiali, liberati dalla prigionia di guerra. Si assedia Castelvecchio.
Trasportati i pezzi da fuoco sui colli di San Mattia e di San Leonardo, il popolo cannoneggia dall’alto i rivoluzionari francesi asserragliati dentro Castel San Pietro e Castel San Felice: altri duecento soldati imperiali combattono confusi nella mischia.
A capitanare i veronesi sono il Conte Francesco degli Emilei, Provveditore di Comune, praticamente il Sindaco della città allora, ed il Conte Augusto Verità.
A migliaia i contadini si precipitano a soccorrere Verona. Giungono per primi gli abitanti della Valpolicella, che si offre di condurre tutti i suoi uomini; scendono i montanari dalla Lessinia; altre colonne di volontari in armi arrivano dalla bassa e dall’est veronese. Il popolo avanza palmo a palmo verso i forti, respinge ogni tentativo di sortita da parte del nemico e tratta da traditore chiunque voglia patteggiare con lui.
L’infido Generale Beaupoil, che dai castelli sopra la città, la batteva con le artiglierie, disceso a parlamentare, ben presto perde tutta la sua tracotanza, piagnucola e si vede salvata la vita dal Marchese Giona, che lo sottrae al linciaggio della folla esasperata.
Gli ebrei del ghetto parteggiano senza esitazione per i nemici, offrendo loro ricetto e armi. Dalla perquisizione del ghetto saltano fuori in effetti tre casse di esplosivo ed altro materiale bellico, da essi occultato, per metterlo a disposizione dei rivoluzionari francesi.
Castelvecchio alza bandiera bianca: viene ordinato il cessate il fuoco, ma i rivoluzionari francesi, scorgendo che gli assedianti, imprudentemente, si erano troppo avvicinati al castello, aperte le porte, ne approfittano per scaricare a tradimento contro di loro un cannone a mitraglia, facendone strage.
Una pattuglia imperiale, che reca purtroppo la notizia dei preliminari di pace a Leoben, è accolta in delirio dalla popolazione che la crede invece un’avanguardia degl’Imperiali, prossimi a liberare la città dagli odiati giacobini.
A Pescantina l’eroica resistenza degli abitanti blocca l’avanzata di una colonna francese, impedendole di traghettare l’Adige, eroismo che diciannove pescantinesi, fra cui donne e bambini, pagano con la vita, moschettati o arsi vivi nelle loro case.
A Venezia, intanto, Emilei non ottiene gli aiuti sperati e deve rientrare a mani vuote. Sul lago il Generale Maffei, attaccato dagli eserciti francesi provenienti da Milano, deve arretrare, fedele alla consegna del Senato di non scontrarsi con essi, ma a San Massimo e a Santa Lucia il 20 aprile s’ingaggia battaglia aperta; lo scontro volge in un primo tempo a vantaggio dei soldati veneti ed è quella l’ultima volta che la vittoria arride a San Marco, ma poi, sopraffatti dal numero, essi sono costretti a ritirarsi tra le mura.
La sorte della città, privata di ogni soccorso esterno, è tuttavia segnata; ma il popolo non vuole ancora arrendersi.
In provincia si susseguono le esecuzioni sommarie: in località Ca’ dei Capri, presso San Massimo, cade fucilato sotto il piombo francese un giovanissimo sacerdote, Don Giuseppe Malenza, che guidava un gruppo d’insorgenti. Dalle alture i giacobini veronesi, traditori della loro Patria, suonano fanfare militari per l’imminente crollo dell’aborrita Verona.
Infine, assediata da cinque eserciti, bombardata giorno e notte, tradita dai Provveditori Veneti che l’abbandonano per ben due volte pur di non violare la chimerica neutralità, Verona capitola il 25 aprile 1797, giorno di San Marco, dichiarando al tempo stesso, con un gesto simbolico che sottolinea il disprezzo per l’ignavia ed il tradimento dei veneziani e che la eleva a rango di capitale, cessato il dominio veneto su di essa.
Alla fine di nove giorni di combattimenti i francesi contano a centinaia le vittime lasciate sul campo in quella che è diventata, per l’esercito più potente d’Europa, una cocente sconfitta militare.
Circa 2.400 sono inoltre i prigionieri transalpini catturati, dei quali 500 militari, altri 900 appartenenti al personale civile dell’esercito napoleonico assieme ai loro familiari: tutti erano stati condotti in Piazza dei Signori, presso il palazzo dei Rappresentanti veneti a Verona. Altri 1.000 francesi, infine, degenti negli ospedali cittadini, sono ivi piantonati dagli stessi veronesi per preservarli da ogni vendetta.
Soltanto 350 sono invece le vittime veronesi: alle quali devono però aggiungersi circa due terzi dei 2.500 fanti della guarnigione veneziana che presidiava Verona, deportati in massa in campi di prigionia in Francia e ivi periti di stenti. Cosa che fa ascendere a 2.057 il numero totale dei caduti veronesi e veneti della sollevazione.
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