LA GALEA VENETA. QUANDO E’ NATA E COME VENIVA COSTRUITA
di Veneziamuseo.it
I primi abitanti delle lagune venete, proiettati a vivere sul mare, avevano imparato dai bizantini le conoscenze nautiche con le quali avevano poi realizzato modeste navi a remi e navi tonde a vela che presentavano, come quelle romane, un brusco raccordo tra il fondo piatto della carena e le murate, quasi verticali, con i rematori posti ai banchi su tre ordini di ponti.
Un fatto nuovo accadde però intorno all’anno 1000, quando a Costantinopoli venne varata una nuova nave da guerra a remi, che avrebbe dominato il Mediterraneo fino alla fine del XVI secolo per rimanervi in seguito, ancorché superata, fino a tutto il XVIII secolo. Era nata lagalea, così perfetta nelle forme, che nei successivi sei/sette secoli del suo intenso utilizzo rimase identica presso tutti i popoli che la adottarono.
Pur rappresentando un naviglio estremamente complesso dal punto di vista strutturale, costruire una galea divenne, per le maestranze dell’Arsenale, un lavoro eseguito praticamente a memoria, realizzato con l’adozione di procedimenti tanto semplici quanto geniali e senza il passaggio intermedio della progettazione, in linea con l’empirismo tipico dell’età medievale: dall’idea alla sua realizzazione. L’esperienza e l’osservanza delle regole dettate dagli operai più anziani erano i pochi ma sufficienti elementi affinchè un valente Proto potesse impostarne correttamente la costruzione: lunghezza in chiglia, larghezza in bocca, tracciato dell’asta di prua e di poppa, ordinata maestra.
Nella pratica, si iniziava dal cantier, ossia posando gli elementi strutturali che servivano di supporto al rivestimento esterno del fasciame: la colomba (chiglia), l’asta di prua e l’asta di poppa, la mezania (ossia l’ordinata maestra, detta sesto o anche garbo). Si passava poi alla posa delle corbe (le altre ordinate) facendo scorer el sesto verso prua e verso poppa, cioè partendo dalla mezania veniva calcolato il mancamento, individuando sul sesto i punti dove lecorbe dovevano essere poste in opera, riducendosi mano a mano di larghezza. In questo modo veniva mantenuta l’armonia volumetrica delle singole parti dello scheletro. Si concludeva così la prima fase, detta imboscar, proprio a causa del groviglio dato dalle ramificazioni dell’ossatura.
Dopo aver posizionato paramezzale, bagli, puntali, dragante, tutto il fusto veniva fasciato con le fodre e le controfodre. A questo punto l’opera viva della galea poteva dirsi terminata, lunga 42 metri e larga solo 5 metri (con 2 metri di puntale al centro), il rapporto lunghezza/larghezza era straordinariamente alto: 8 a 1 e talvolta sfiorando anche il 9 a 1, dunque uno scafo incredibilmente lungo, stretto e basso sul pelo dell’acqua. Solo le galere grosse, destinate al commercio, avevano rapporti più bassi: 6 a 1 e talvolta anche 5 a 1.
A questo punto, la galea, perfettamente in grado di galleggiare dopo la conclusione del lavoro dei calafati, veniva varata e rimorchiata sotto uno dei tezoni acquatici, dove proseguiva velocemente l’allestimento di coperta. Sull’opera viva, che terminava a prora con uno sperone lungo fra i cinque e i sei metri, arma di offesa per percuotere l’opera morta delle navi avversarie, stava appoggiato un telaro lungo circa 36 metri e largo 7,50 costituito da due traverse: i gioghi, l’una a proravia e l’altra a poppavia, e da due collegamenti longitudinali che sopportavano il peso e lo sforzo propulsivo dei remi: i posticci. I gioghi appoggiavano direttamente sul ponte, mentre i posticci, essendo il telaro più largo di un buon metro per parte, erano sorretti da appositi mensoloni detti baccalari. Solidamente assicurato allo scafo, tutto l’insieme conteneva, partendo da prora, lo spazio per l’artiglieria e quindi i banchi e le pedane, gli scalmi per i remi, le passerelle laterali ed una corsia rialzata al centro. All’estrema prua, dietro lo sperone ma prima del giogo era ricavato un piccolo spazio di ponte che serviva per l’ormeggio e per dar fondo alle ancore, a quattro marre senza ceppo, che generalmente erano tre: una grande, una media (il marsocco) e una piccola (il fero da posta).
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