NAPOLEONE ASSASSINO L’assassinio del duca di Enghien
Di Francesco Mario Agnoli.

Luigi Antonio di Borbone, Duca di Enghien, era un parente dei sovrani borbonici di Francia. Più famoso per la sua morte, che per la sua vita, fu giustiziato per accuse inventate durante il consolato francese.
L’assassinio del Duca di Enghien è sol esso capace di oscurare la gloria di cento trionfi. Non son degni del culto de’ popoli quei tiranni che si gettano sotto i piè tutti i diritti; giacché, se per vanità, più assai che per onesti fini, essi fanno alcun bene ai popoli, gl’istupidiscono sotto il peso del loro orgoglioso potere”
La più emblematica manifestazione di spietatezza del Console a vita si ebbe con la vicenda del rapimento e l’esecuzione del Duca d’Enghien, ossia Luigi-Antonio Enrico di Borbone-Condé (1772-1804) – figlio di Luisa d’Orléans, nonché ultimo discendente diretto dell’illustre casata d’origine capetingia.
Dopo la pace di Lunéville (febbraio 1801) e lo scioglimento dell’esercito controrivoluzionario – l’Armata degli émigrés, ov’era entrato come ufficiale di cavalleria – il nobile si ritirò nel castello di Ettenheim, presso il granducato di Baden: ergo, si trovava in territorio neutrale tedesco. Era convolato a nozze, in gran segreto, con la nipote del cardinale di Rohan: la principessa Carlotta di Rohan-Rochefort (1767-1841), della quale era perdutamente innamorato.
Il giovane Duca d’Enghien si trovava ancora nel suo letto, quando all’alba del 15 marzo 1804 venne tratto in arresto, per ordine di Bonaparte in persona, da un generale francese scortato da gendarmi del 26° reggimento dei Dragoni – che circondarono la residenza. A quel punto, Enghien fu trasferito a Strasburgo e in seguito tradotto nella fortezza di Vincennes.
Negli anni culminanti della rivoluzione, il timore di cospirazioni realiste – incoraggiate dal governo inglese – aveva scatenato una forma di psicosi in Francia, al punto tale che era stata decretata la pena di morte sia per gli émigrés rientrati in segreto nel Paese, sia per coloro che li ospitavano. Bonaparte subì 31 attentati, senza contare quelli di cui mai venne a conoscenza. Il 24 dicembre 1800 la congiura della “macchina infernale” – un carretto carico di barili stracolmi di esplosivo – per un soffio non l’aveva eliminato. Sul finire del 1803, la polizia segreta informò il Primo console – che riteneva sé medesimo quale ostacolo per i Borbone, e temeva di essere tolto di mezzo – dell’esistenza di un vasto complotto per rovesciarlo, in cui erano coinvolti anche gli ambasciatori inglesi in Baviera e nel Wüttemberg.
Quando Napoleone fece prendere il Duca, colse l’occasione per terrorizzare i propri nemici. E il colpo gli andò bene poiché da quel giorno cessò ogni congiura.
AVincennes si costituì un tribunale militare di sette ufficiali, presieduto dal gen. Pierre-Augustin Hulin (1758-1841): in alcun modo fu possibile provare il coinvolgimento del Duca nel complotto. Nonostante ciò, la condanna – dopo un sommario processo – fu la pena capitale. Accusato di essere un émigré che aveva combattuto contro la Francia (il che era vero), il 21 marzo Enghien fu condotto davanti al plotone d’esecuzione e fucilato.
Bonaparte era deliberatamente ricorso a un atto di rappresaglia e terrorismo per scoraggiare sia i Borbone che i loro sostenitori: il Console a vita, personalmente, non aveva nulla contro il Duca. Un mese prima di farlo giustiziare, Bonaparte non si curava nemmeno della sua esistenza; egli sostenne che Enghien voleva farlo ammazzare, per cui doveva proteggersi. In merito all’opinione pubblica internazionale che condannò Napoleone, egli si chiese il perché dovesse avere riguardi verso il nobile: soltanto perché era il cugino dell’ex re di Francia? Trattavasi di un pericoloso Borbone, non erano indispensabili le prove.