L’epoca d’oro della Sicilia mussulmana? mai esistita.
Fu una leggenda creata prima da un mistificatore maltese, poi da un intellettuale siciliano che odiava i Borboni e il cattolicesimo (preferendovi persino l’islam) .. ma questo lo trovate seguendo il link che vi metto sotto.
Intanto…
Sappiamo dunque che una certa storiografia ha parzialmente modificato la realtà storica della Sicilia musulmana, mostrandone solo i buoni traffici commerciali o i testi poetici prodotti. Queste tesi sono divenute verbo divino fra la seconda metà del XIX secolo (Amari – uno dei due falsari – fu ministro dell’istruzione nel governo Farini!) e la prima del XX secolo.
Ad oggi, si tende a dare pochissimo spazio alla condizione del dhimmi (infedele) siciliano o al fatto che l’intera popolazione siciliana si adoperò per la cacciata degli arabi e ne spazzò via quasi ogni traccia (cosa che, di solito, non avviene quando un popolo è felice e soddisfatto della propria condizione).
Una comparazione fra i documenti pre-Islamici e quelli del periodo islamico rivela che gli Arabi conquistatori aumentarono senza eccezione la tassazione sulle proprietà terriere. In questo modo, alzarono le tasse per i campi di grano a 4 dirhams l’acro e quelle per i campi d’orzo a 2 dirhams l’acro, mentre durante il regno di Cosroe era di 1 dirham per ogni acro, a prescindere dal tipo di coltivazione. Durante l’ultima parte del Califfato Umayyade, i Persiani sottomessi pagavano agli Arabi una kharaj (la tassa sulla terra di cui abbiamo detto) pari a 1/4-1/3 di quanto avevano prodotto.
(2) le proibizioni imposte ai dhimmi erano piuttosto pesanti, ma anche in questo caso Amari sembra giudicarle di poco conto, e si limita a elencarle meccanicamente. Era loro vietato:
- portare armi;
- andare a cavallo;
- utilizzare selle per montare asini o muli;
- costruire case che pareggiassero o superassero in altezza quelle dei Musulmani;
- bere vino in pubblico;
- piangere i morti durante le processione che portava al cimitero;
- (per le donne) entrare nei bagni pubblici quando ci fossero donne musulmane o rimanervi all’ingresso di queste ultime.
Avevano inoltre l’obbligo di:
- portare un segno distintivo sulla porta di casa, sui vestiti (compresa una cintura di cuoio o lana) e utilizzare copricapo di diversa foggia e colore;
- cedere il passo ai Musulmani incontrati sulla medesima strada;
- quando ci si trova in gruppo, alzarsi all’entrata o uscita di un Musulmano .
Si tratta di umiliazioni piuttosto stringenti, volte a stabilire una rigida separazione fra conquistatori e sottomessi. Amari ne ammette la gravosità, ma nel paragrafo successivo sostiene che, di fronte queste limitazioni “civili”, i divieti di tipo religioso (3) erano piuttosto lievi:
- costruire nuove chiese o monasteri (sulla restaurazione di quelle più antiche, solitamente vietata, sembra che i siciliani avessero un’esenzione);
- suonare le campane;
- leggere il vangelo a voce alta (non potevano esserci canti o processioni);
- portare croci in pubblico;
- parlare di Gesù Cristo con i Musulmani;
- fare proseliti.
http://zweilawyer.com/2015/11/02/lepoca-doro-della-sicilia-musulmana-un-falso-storico-2/ nella prima parte, le fonti della mistificazione, che ancora perdura. Baterebbe ascoltare lo scrittore siciliano Buttafuoco, neo convertito all’islam.