IMPARIAMO A CONOSCERE LA LEGGE VENETA: LA GIUSTIZIA CONTRATTATA.
di Millo Bozzolan
da “Giustizia Veneta” di Edoardo Rubini. ed. Filippi, Venezia.
Consisteva nella facoltà data ad ogni suddito di rivolgere alla magistratura competente una richiesta (supplica), per ottenere un qualsiasi provvedimento (anche in deroga, nota di chi scrive ora) favorevole.
Specie se si trattava di libertà provvisoria, in alcuni casi la grazia poteva essere condizionata al versamento di una adeguata cauzione, a titolo di garanzia (piezaria);
in cambio della sua concessione lo Stato si riservava di “comprare” un po’ di tutto: un’opera manuale o dell’ingegno, un suggerimento, una rivelazione su fatti ignoti, proposte progettuali, detti ‘aricordi’; ma a volte si trattava di meriti acquisiti al servizio della Madrepatria o di rispondere a pure e semplici richieste d’aiuto, con sovvenzioni, facilitazioni, offerte di lavoro. Valutata attentamente la cosa, la Repubblica decideva in tempi favorevoli e rispondeva all’istanza con un sì o con un no.
————-
Ci spiega Rubini nelle note che oggi questo istituto sarebbe difficilmente applicabile. Un tempo il Magistrato veneto aveva riferimenti solidi e collaudati, poiché era diffusa l’idea del Bene Comune in una società ancorata solidamente su principi cristiani.
Oggi al contrario, la società di impronta liberale si regge sul relativismo e sulla mistica illuministica che ha soppresso la cocienza del giudice a favore di una supposta perfetta legge scritta, scaturita da labili maggioranze parlamentari, e dalle correnti di pensiero mutevoli come foglie al vento, per cui prevale un relativismo etico-morale.
Il giudice moderno non sa in pratica cosa sia il Bene comune, dato che nell’ambito sociale manca il concetto di Nazione storica, di comunità di appartenenza, di famiglia tradizionale, di onore. Risultato: se il giudice liberale potesse muoversi come quello veneto, sarebbe subito accusato di agire in nome di convinzioni personali, di imporre dogmi religiosi, di praticare favoritismi, di essere parziale.