CORFU’: A CACCIA DEI FANTASMI DI VENEZIA. Di Paolo Rumiz.
Sbarchi e cambia tutto. Cicale, fichi, lenzuola al vento, tintinnar di stoviglie. L’adrenalina albanese e il nervosismo italo-croato spariscono, tutto diventa accomodante, la gente passeggia sentendosi a suo agio. I vecchi sono vecchi, i bambini bambini, ciascuno si prende il suo tempo. Resiste il dialogo, cioé la democrazia. Benedetta Grecia, culla del pensiero occidentale, ma fedele alla mediterraneità, dunque alla sua capacità di capire l’Oriente.
L’Italia invece ha tradito il Mare di Mezzo, la sua storia, la sua posizione unica. E’ diventata atlantica. Come l’Albania. In mezzo ai portici scoppia una lite spaventosa, due uomini gridano come aquile. Tema, le spese per le olimpiadi. Troppe per uno, indispensabili per l’altro. I turisti inglesi e tedeschi ammutoliscono, sono certi di veder lampeggiare i coltelli. Invece niente. L’alterco si spegne, i due si guardano, poi scoppiano a ridere. Uno dice: “Egyna Tourkos”, mi sono infuriato come un turco. L’altro: “Scusa, mi sono comportato come un Vlaho”, un montanaro. Ecco, la Grecia è anche questo. Eraclito che scrive: “Da ciò che è in lotta nasce la più bella armonia. Tutto si realizza attraverso la discordia”.
Parto per le stradine a caccia di cose veneziane, ma prima devo passare per l’Inghilterra, che dominò l’Isola dopo Venezia e la caduta di Napoleone. Alla “Reading society”, una palazzina dove c’è molto del passato corfiota, il signor Andreas Papadatos, benda nera come Capitan Uncino, mi schiude stanze piene di libri, apre manoscritti su questo “scalo principalissimo favorito da esenzioni et altri privilegi”, dove mercanti cristiani, ebrei e greci cercavano sicurezza dai pirati algerini prima ancora che dal Turco.
Scopri che Venezia non fu solo fortezze, leoni, approdi. Fu anche amministrazione della giustizia. “Noi poveri corfioti – trovo in un altro manoscritto – siamo stati accarezzati et abbracciati dalli clarissimi rettori che pro tempora sono venuti sì dal mar come da terra et sempre li habbiamo scolpiti nel cuore”. Da una finestra Papadatos mi mostra la chiesetta di San Nicola sul lungomare. “Prima di diventare americano col nome di Santa Klaus, Nicola passò di qui. Qui approdarono le sue spoglie trafugate agli ottomani. Oggi riposa a Bari. Ed è il santo più mediterraneo che ci sia”.
Il castello vecchio di Corfù – il Kastro – non venne mai preso dai Turchi. Oggi sta insieme a malapena, è il più malandato dei forti veneziani nel Mediterraneo. Sul lato Nord, la darsena dove la flotta della Santa Alleanza fece l’ultima sosta tecnica prima dello scontro (a Lepanto). Dentro, la sconfinata biblioteca dell’Archivio di Stato, dove la signora Aliki Nikiforou mi porta nei sotterranei. Un viaggio nel tempo, nove chilometri di libri allineati nelle scansie.
Studenti lavorano a catalogare antichi passaporti, oltre diecimila documenti dove rileggi la storia del Mediterraneo. Passaggio di russi, turchi, tedeschi, inglesi. “Anche questo è un mondo finito – spiega Aliki – dopo l’11 settembre il passaporto non basta più, ormai servono le impronte digitali. E’ cominciata l’era della sicurezza globale. Non si sa a vantaggio di chi”.
Nella chiesa di Spiridione, il protettore di Corfù, la gente ciabatta e chiacchiera come in un vicolo napoletano. Le porte sono tutte aperte, il vento entra, comari litigano a bassa voce, accendono candele, vanno a baciare il sarcofago nella cripta a destra dell’altare. Passare da Spiridione è un atto privo di pesantezze liturgiche. Nella sua chiesa si parla, si prende il fresco nelle ore micidiali del pomeriggio. Spiridione è un santo speciale.
Narrano che quando la mummia arrivò, pure quella da Oriente, di nascosto dai Turchi cattivi, fece subito miracoli e i corfioti dimenticarono San Marco. Venezia corse ai ripari e pensò di adottarlo. Già, ma sotto il segno di quale liturgia? Cattolica o ortodossa? Per evitare rivolte popolari si decise di affidare le spoglie alla cappella privata della famiglia Bulgari, i gioiellieri che poi sarebbero passati in Italia.
Come San Marco, Spiridione divenne protettore “civico”. Gli ammiragli gli dedicarono lampadari d’argento e alle processioni vennero ebrei e musulmani. Era nato il santo di tutti. Strano, più vai verso la battaglia delle battaglie e più trovi luoghi dove gli dei si parlano.
“Tutte le grandi civiltà mediterranee seppero trovare questi spazi d’incontro tra fedi. Tutte tranne la nostra. Per creare un amalgama ci vuole tempo, e noi non abbiamo tempo. Siamo rovinati dalla velocità, distruggiamo la mediazione, i pensieri unici dilagano, la complessità è perduta”. Sulla sua terrazza, la sera, Ana Merlin – vedova di Edwin Merlin, eroe della battaglia aerea d’Inghilterra e corfiota adottiva – versa un bicchiere di acqua e “ouzo”, poi sorride: “Sa, i greci amano bere e filosofeggiare”.
Decolliamo verso pensieri del terzo tipo. “Agios”, in greco vuol dire santo, ma anche “unitario”, “onnicomprensivo”. Santo è colui che tutte le fedi riconoscono come tale, e infatti l’Islam lo chiama allo stesso modo, “Hadji”. E’ segnato dall’aureola, in greco “Aura”, che è anche energia buona, soffio vitale, quello che il mondo islamico chiama “Nur”. Ma il soffio non è anche vento, “Anemos”, dunque anima? No, meglio fermarsi, troppa anice in corpo, meglio tornare a casa, cioè in barca.
Labirinto di vicoli, sui campanelli qualche nome veneziano, Mocenigo, Capodistria. Non capisci più dove sei. Sul Castello Nuovo suona la tromba del silenzio, ma sul lungomare è solo l’inizio della baraonda. A mezzanotte i riflettori illuminano ombre enormi sulla muraglia, come nel film che Orson Welles dedicò a Otello, il Moro di Venezia.
(19. continua)
(24 agosto 2004)