L’ANGOLO DEL VENETO SIMILE AL GALLES, DISTRUTTO NEGLI ANNI ’50
Parlo della Saccisica ,la campagna di Piove di Sacco, centro che con quel nome così pittoresco faceva capo a una campagna costellata dai celebri “casoni” con i tetti di paglia. Oggi in Galles, e anche nell’angolo della Bretagna, contrade abitate anticamente, non a caso, dai Veneti (Venedoti nel Galles, Veneti in Bretagna) compaiono dei graziosi edifici col tetto in paglia, trasformati in residenze di lusso o quasi ,dotate di tutti i comfort, e di grande attrattiva turistica.Ebbene fino agli anni ’50 del Novecento centinaia di edifici del genere, erano diffusi anche da noi. Quelli adibiti ad abitazione erano tanti, si sarebbero potuti recuperare, molti di essi, la metà almeno, erano considerati del tutto salubri, ma a Roma decisero di raderne al suolo la grandissima parte, per trasferire le famiglie in case popolari moderne. Millenni di storia, di identità culturale veneta, buttati nella spazzatura. Grazie a una legge scellerata partita dal centro romano, incapace di capire e di salvare pezzi di cultura e lei estranea. con la complicità, purtroppo, degli ascari locali, le amministrazioni comunali dell’epoca. Eccovi la storia.
A decretare la “morte” dei casoni fu una legge dello Stato: la legge 9 agosto 1954, n. 640 (provvedimenti per l’eliminazione delle abitazioni malsane) pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 16 agosto 1954: con tale normativa si disponeva che i Comuni dovessero procedere alla dichiarazione di inabitabilità degli ambienti abitativi riconosciuti insalubri e attivare procedure di sgombero degli abitanti per trasferirli in nuovi alloggi realizzati a cura e spese dello Stato.

Fu così che, sulla base di principi generici derivanti ed ispirati alla “esigenza di rendere “attraente, sana ed igienica” la casa dell’agricoltore, per “affezionarlo alla terra perché nella casa stessa trovi il dovuto conforto ed il meritato riposo dopo il duro lavoro dei campi” si incentivò la distruzione dei casoni per sostituirli con case più moderne, non più sviluppate sulla base di interazioni storiche tra contadino e territorio, ma sulla base di tipologie standardizzate studiate da tecnici del settore.

Arzergrande, casone superstite
La legge ebbe un notevole successo e nel territorio della Saccisica furono abbattuti e trasformati centinaia di casoni: basti pensare che nel solo Comune di Piove di Sacco nel 1931 erano censiti ancora 366 casoni, di cui 46 adibiti esclusivamente ad uso stalla o per ricovero di attrezzi rurali.
E’ interessante sottolineare come in questo censimento si rilevi che ” … una metà circa di quelli ad uso abitazione sono in condizioni igieniche soddisfacenti perché costruiti con pietre cotte e coperti con buona paglia , provveduti di finestre e balconcelli ed aventi pavimenti di pietra … sono sufficientemente arieggiati e per la loro buona manutenzione possono ancora servire allo scopo”.
Fortunatamente alcuni (pochissimi) sono ancora visibili, sia pur ricostruiti, utilizzando comunque, per quanto possibile, materiali e tecniche di allora: ed è certamente questo il modo migliore per rispettare quanto i nostri predecessori erano riusciti a ideare con mezzi così limitati.
Altre realtà di case bracciantili, di livello costruttivo relativamente più elevato, erano connesse alle piccole proprietà contadine, soprattutto in epoche più recenti: sono case denominate (sempre negli estimi) de muro, quindi con struttura in mattoni e copertura in coppi.
Certo, il pavimento era in terra battuta, le finestre erano piccole per non disperdere il calore proveniente dalla stalla, che da parte sua era strettamente integrata dentro l’abitazione principale: il tutto non rendeva questi ambienti dei modelli di salubrità, ma indubbiamente (e qualche nostro anziano contadino lo può ancora raccontare), date le condizioni di partenza, il risultato era egregio.
Nei casoni poi non si rinunciava mai ad un tocco di vera architettura quando si trattava di costruire il camino: a fronte della necessità di realizzare una struttura alta e molto canalizzata per minimizzare il rischio di incendio del tetto, permane la documentazione fotografica di elementi di impatto decorativo veramente notevole, quasi sproporzionato al valore formale del resto della costruzione.
Vari sono i modelli e varie le loro evoluzioni: ma gli elementi fondamentali sono sempre ben evidenti e scolpiti nel nostro immaginario:
– la copertura, con le ampie falde dalla accentuata pendenza, predominante sul basso perimetro della muratura portante non solo dal punto di vista dei rapporti volumetrici ma soprattutto per l’impatto (oggi) scenografico;
– la pianta di massima è a forma rettangolare e di assoluta semplicità;
– la disposizione interna, che rispecchiava il modo di vita di allora risaltando il ruolo centrale della cucina, vero ambiente unico della casa a diretto contatto con la stalla (il “tinello” del contadino);
– il camino staccato a dimostrare quasi una propria e diversa dignità e solidità anche nel tempo.
In testa c’è una foto di Tavodo.
Trentino, mica Veneto.
Gentilissimo Enrico
la ringrazio per la precisazione.
Colgo l’occasione per ricordare che, in effetti la Regione del Veneto è cosa differente dal Trentino.
Tuttavia vicentini, padovani, trevigiani, bellunesi, veneziani ecc. e trentini appartengono al medesimo popolo antichissimo, parlano diversi dialetti della stessa lingua ancestrale (abbastanza distinta dall’italiano) ed hanno una cultura molto simile. Infatti il corso dell’Adige fu il canale di diffusione della cultura venetica fino alle valli del bolzanino.
Inoltre una attestiazione la offre, in epoca storica e per diversi secoli, la X° Regio “Venethia et Histria”.
Purtroppo, uccessicamente, a causa delle invasioni germaniche il territorio venne diviso in feudi, contee e dogado sotto diverse dominazioni.
La Repubblica Veneta, erede della Venetia et Histria di epoca romana, compi nel XV° secolo la riunificazione delle genti venete ma non riusci a liberare i trentini dal dominio tedesco tanto è vero che fino a oltre un secolo fa li governava un vescovo-conte germanico.
Grazie ancora per il contributo.
Giorgio