“EL DOZE MANIN DAL CORE PICININ!” ma non fu così.
Dall’associazione “Europa Veneta” ricevo e pubblico molto volentieri.
La figura del Doge Manin è stata diffamata per sistema dai detrattori della Repubblica: costoro ne hanno fatto quella di un pavido pusillanime, che non avrebbe avuto il coraggio di far fronte all’invasione napoleonica. Chiunque disponga di conoscenze storiche sa che, invece, il potere dell’allora Capo dello Stato non andava tanto più in là di quello oggi posseduto dal Presidente di una Repubblica Parlamentare (quale fu a grandi linee la Serenissima); inoltre, seguendo tutti gli eventi occorsi, si vede che il Veneto Patriziato adottò le essenziali misure preventive (sul piano militare) e politiche (sul piano diplomatico) per sventare il disastro del 1797, ma senza fortuna.
La sorte della Repubblica di San Marco fu compromessa dal sostanziale disinteresse delle potenze europee a mantenere un equo ordine internazionale (fatto dimostratosi durante il Congresso di Vienna del 1815); soprattutto si deve ammettere che persino grandi potenze come Spagna, Austria, Prussia, Olanda, ecc., furono piegate, una dopo l’altra, sul piano militare dall’espansionismo napoleonico, cui si sottrassero solo Russia ed Inghilterra , marginali a livello geografico-continentale.
Il Doge Manin, con grande dignità, rifiutò di accettare la presidenza della “Municipalità Democratica provvisoria” filo-francese che gli venne offerta; si ritirò invece a vita privata presso palazzo Grimani ai Servi, proprietà della moglie Elisabetta, benché conservasse la considerazione dei suoi concittadini e delle autorità occupanti le provincie venete (pur subendo gli insulti di chi era caduto negli inganni moralistici ottocenteschi, che spiegavano la perdita della libertà per la Veneta Nazione non a seguito della violentissima invasione armata francese e delle trame sovversive della massoneria, bensì con le manchevolezze personali dei governanti della Repubblica).
Il N.H. Lodovigo Manin impiegava gli anni che gli restavano in opere di pietà e di beneficenza. Lasciò questo mondo il 23 ottobre 1802, trovando sepoltura nella cappella dei suoi antenati collocata subito a sinistra nella chiesa dei Carmelitani Scalzi, vicino all’attuale stazione ferroviaria. Il nostro Lodovico volle anche in punto di morte lasciare un saggio della sua generosa e prudente carità legando centodiecimila ducati col suo testamento del 1° ottobre 1802.
Con esso si prendeva cura delle persone che nella società considerava più vulnerabili e bisognose di cure: i malati di mente ed i bambini abbandonati. Una metà del lascito andò al manicomio di San Servolo (dove i religiosi della Serenissima si prendevano cura dei matti con delicata attenzione, mentre le pratiche atroci e disumane furono introdotte proprio con la gestione laica prodotta da liberali ed illuministi); la parte restante del lascito diede impulso al Pio Istituto Manin in Venezia, ritenuto di tanta utilità pubblica, che in seguito fu alimentato da altri lasciti di cittadini dall’animo pio, come ci spiega il libretto in esame.
Nella sua grande previdenza, l’ex Doge voleva che i ragazzi cittadini fossero addestrati ai lavori per le diverse officine meccaniche, le ragazze fossero ben educate e dotate, mentre i figlioli dei contadini fossero ammaestrati nelle attività agricole. È commovente la stampa a pag. 3 che ritrae il Doge intento a scrivere le sue ultime volontà mentre l’angelo custode gli tiene la mano destra sulla spalla. Il religiosissimo Manin con questo suo gesto voleva che la Veneta Nazione risorgesse dalle ceneri facendo rinascere la sua gioventù.
A seguito della targa lignea fatta installare vicino alla suddetta cappella Manin dall’Associazione “Europa Veneta”, l’Ordine dei Carmelitani Scalzi ha provveduto a pubblicare il testamento in rete e consigliamo di leggerlo: https://www.chiesadegliscalzi.it/ch/2018/04/25/il-testamento-di-ludovico-manin/
ps. Nota di Redazione: pur nell’inevitabile disastro, gli ultimi aristocratici fecero quanto era possibile, cedendo il potere alla Municipalità, perché lo stato veneto continuasse ad esistere, “sia pure sotto forme diverse” non mettendo nel conto il fatto che Napoleone usò il nostro stato come merce di scambio con l’Austria, che si comportò come un ricettatore di cose rubate. Come è scritto sopra Napoleone fu un ciclone inarrestabile che ribaltò l’Europa continentale, perché continuare a colpevolizzare “gli ultimi veneziani”?