FRANZA O SPAGNA…ma fu sempre un motto italico?
di Edoardo Sanguinetti
Quale il nesso tra le Insorgenze e questo discorso sulla Patria e l’identità nazionale? Uno dei luoghi comuni della polemica contro l’Italia della Controriforma e preunitaria è quello sintetizzabile nei detti «Franza o Spagna basta che se magna» e «gli italiani non si battono» dei quali le Insorgenze sono evidentemente una clamorosa smentita.
Peraltro quei due pregiudizi sono comunque falsi e privi di senso. Alcuni dei più grandi generali dell’epoca moderna e di tutti i tempi furono italiani: il principe Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli, Ottavio Piccolomini, Ambrogio Spinola, Alessandro Farnese, Prospero Colonna.
A Lepanto due squadre navali su tre erano comandate da italiani: Agostino Barbarigo e Gianandrea Doria, nipote dell’altro grande ammiraglio Andrea; e italiani di tutte le regioni erano la grande maggioranza dei combattenti: «A leggere le liste dei nomi dei comandanti che combatterono a Lepanto, nomi di ignoti e di nobili casate di tutta Italia, si vede davanti un’Italia, sia pure per breve ora, unita nel sacrificio, nella lotta, nella vittoria».
I veneziani Marcantonio Bragadin e Francesco Morosini furono gli eroici difensori di Cipro e di Creta. Un genovese, Giovanni Giustiniani Longo, a capo di un manipolo di compatrioti, era accorso all’estrema difesa di Costantinopoli dai turchi nel 1453.
Il francescano san Giovanni da Capestrano fu l’anima della Resistenza contro i turchi; aveva settant’anni quando, nel 1456, partecipò alla difesa di Belgrado, dove per undici giorni mai abbandonò il campo di battaglia: «Entrò nelle schiere dei combattenti», scrive Piero Bargellini, «dove era più incerta la sorte delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù», innalzando il suo stendardo con il monogramma bernardiniano di Cristo Re e una pesante croce di legno.
Due secoli dopo un altro francescano, il cappuccino Marco d’Aviano, la cui statua campeggia sulla facciata della Kapuzinerkirche nella capitale austriaca, consigliere per un ventennio dell’imperatore Leopoldo I, fu l’eroe della vittoriosa difesa di Vienna del 1683 e l’anima della Resistenza cristiana contro gli ottomani anche a Budapest (1684 e 1686), Neuhäusel (1685), Mohács (1687), Belgrado (1688).
Tutti questi condottieri furono accomunati da una caratteristica: l’avere combattuto contro gli eretici e gli infedeli, al servizio del Papa, dell’Impero, della Spagna cattolica o di Venezia, baluardo cristiano nel Mediterraneo orientale. In Italia, scrive Rodolico, «dal XVI al XVIII secolo vi sono forze morali religiose mirabili, che salvarono l’unità religiosa del mondo latino; vi sono forze militari magnifiche di marinai di Venezia, di soldati di Carlo Emanuele I sconfitti più volte e non mai vinti, di capitani e soldati dell’Italia meridionale e della Lombardia spagnola, che militarono valorosamente negli eserciti d’Europa».
I denigratori osservano allora che, sì, vi furono grandi generali e coraggiosi soldati, ma dovettero disgraziatamente servire non la Patria, l’Italia unita che non c’era, ma lo «straniero». Curiosa osservazione. Come se combattere per la civiltà cristiana ed europea fosse meno nobile che servire le ambizioni nazionalistiche ed espansionistiche di un singolo Stato.
Se si guarda poi alle vicende belliche dell’Italia unita, con tutto il dovuto rispetto per chi fece il suo dovere «per il Re e per la Patria» e con le doverose eccezioni, non sembra che le virtù militari degli italiani, soprattutto dei loro capi, abbiano tratto grande giovamento dalla costituzione di uno Stato unitario.