I “PRIVILEGI” DEI POLITICI D’OGGI E I “PRIVILEGI” DELL’ARISTOCRATICO VENEZIANO.
Di Millo Bozzolan
La cosa che ci irrita di più oggi, in una società che si definisce egalitaria, nata dai principi della rivoluzione francese, è l’essere governati da una classe politica che si è autoconcessa privilegi di ogni sorta. E molti Veneti guardano con rimpianto ai sani modelli di morigeratezza dei governanti della Serenissima, a volte auto convincendosi che quella società fosse un esempio di egalitarismo giacobino e cioè che tutti fossero cittadini e tutti fossero eguali.
E’ però una lettura sbagliata, che impedisce di capire quello che rappresentò veramente l’antico governo veneto, aristocratico e fondato sul principio dell’esaltazione della “diversità” dell’uomo nella società.
Ogni uomo, per gli antichi nostri Padri, era chiamato da Dio a svolgere il proprio ruolo sulla terra, dal più umile dei servi all’aristocratico, ed era evidente, almeno per loro, che un contadino analfabeta non fosse alla pari di un professore dell’università di Padova, quindi diversi erano i diritti e i doveri dell’uno e dell’altro.
Anche se avrei dovuto scrivere prima i doveri, e poi “i privilegi” (perché allora si definivano più spesso in questa maniera “i diritti”). Ma prima di ogni altra cosa, lo stato premoderno ti richiamava ai tuoi “doveri”, verso Dio e quindi verso il prossimo. Questo potrebbe però far pensare ad una società statica, immobile, ed invece non lo era affatto: con il commercio, con la pratica dell’arte delle armi ( condottieri famosi iniziarono da semplici soldati e divennero comandanti e poi nobili), con l’abilità nell’esercizio delle arti e dei mestieri, si potevano raggiungere i vertici, forse in maniera più facile che non nella società italiana odierna.
I “privilegi”, che quindi nulla avevano a che fare con quelli dei parlamentari odierni, erano anche collettivi, delle comunità, come tali riconosciuti da Venezia come antiche consuetudini, o concessi dalla stessa a singoli gruppi sociali o “nazioni” (e per nazione si intendeva anche una piccola cittadina o una popolazione con comunanza di storia, lingua e tradizione, grande o piccola che fosse) per servigi resi (vedi il caso dei Perastini).
Variavano quindi da soggetto a soggetto e in questo sta la grandezza della Serenissima, nell’esaltazione e difesa della “diversità” dei suoi popoli, ognuno diverso dall’altro e quindi con sfere giuridiche diverse che contenevano i loro rapporti con la comune Patria veneta e non schiacciati nell’appiattimento uniforme dell’oggi che, con la scusa di una “uguaglianza” del tutto utopica, ha distrutto il meglio della civiltà italiana.
Ma non vi erano quindi mai momenti in cui si manifestasse una congrega di “uguali”? Vi erano eccome, ma rinchiusi in queste diversità sociali e storiche: pensate alle corporazioni di arti e mestieri, i cui membri eleggevano per votazione libera i loro capi e le regole che li governavano, nell’ambito della particolare concessione del governo veneziano, o la più alta di tutte le assemblee, il gran Consiglio , esclusiva però dei Nobili veneziani.
In questo ambito ogni testa rappresentava un voto, e tale assemblea traeva origine dall’antico “rengo” o assemblea popolare dei Veneti primi. Ma la “democrazia diretta” aveva mostrato i suoi limiti nel governare lo stato con la congiura di Bajamonte Tiepolo, e per non finire come le città della terraferma, governate da un tiranno (nel senso antico) i veneziani preferirono ripartire il potere tra una nuova (allora) aristocrazia di eguali; questo con l’appoggio di tutto il popolo, che non voleva appunto soggiacere “alla tirannia” di un singolo.
http://venetostoria.com/2015/06/16/chi-governava-lo-stato-veneto/
Lo spunto di Milo è davvero interessante, come al solito. I concetti sono giusti, ma bisogna prestare attenzione alle parole, che sono importanti, come insegnano i giacobini e i sinistri, che a furia di usare parole di diverso significato al posto di quelle appropriate, riescono così bene a manipolare le coscienze (vedi la “neolingua in “1984” di George Orwell). La “uguaglianza” non esiste per gli esseri umani. Dio ha creato gli uomini unici, come individui. La cosa importante è che gli uomini siano pari davanti a Dio e davanti alla legge (in questo senso, e in solo questo, uguali). La società di un tempo, retta dall’aristocrazia, si basava – più che sulla diversità – sulla DISTINZIONE. La persona distinta si distingue dalla massa quantitativa in quanto opera per il bene. La società liberale conta i voti sulla base del dogma che la maggioranza ha sempre ragione, ignorando ciò che è bene e ciò che è male. La distinzione è un concetto qualitativo: cioè si deve tendere a diventare migliori, detta in termini religiosi (ancora più elevati), bisogna santificarsi. La società tradizionale, inoltre, dava risalto alla COMUNITA’, cioè faceva tutto il possibile perché regnassero pace e concordia e fosse riconosciuto un ruolo a ciascuna persona. La società liberale – atea e amorale – dopo avere introdotto il concetto degenerato dell’uguaglianza, ha introdotto anche il concetto degenerato del “diverso”. Il diverso è l’emarginato, l’asociale, il reietto. La depravata società liberale ha, infine, ribattezzato eufemisticamente “diverso” l’invertito, che infine gli Stati Uniti hanno ridenominato “gay”, per rendere accattivante il processo di destrutturazione della società e delle persone umane. E quel modello folle oggi ha il totale dominio e controllo di ciò che pensiamo e diciamo… almeno finché non ricostruiremo la Veneta Serenissima Repubblica !