LA CONDANNA DEL CASANOVA, la ragion di stato
Di Millo Bozzolan
Il Casanova fu un massone, nelle sue memorie, se non ne parla apertamente, lo fa intuire, descrivendo certe sue “visioni” molto esoteriche. Egli lamentava anche di essere stato carcerato ai Piombi (prigioni particolari, dove finivano soggetti che avevano tramato contro la sicurezza dello Stato) senza aver potuto leggere la sentenza. Ora, noi sappiamo del grande senso di Giustizia che animava la Repubblica, se si derogava a certi principi base del Diritto, come la mancanza di pubblicità della sentenza, vi dovevano essere dei motivi validi e gravi. Tanto forti, questi argomenti, da portare a “mascherare” addirittura la condanna di crimini contro lo stato (aderenza alla massoneria) con un depistaggio vero e proprio.
E’ un’ipotesi plausibile che affaccia lo storico del diritto veneto Edoardo Rubini, dopo che avevo scritto della condanna “per motivi religiosi” del Casanova. Occultando i veri motivi della sentenza, e cioè la sua appartenenza alla massoneria, gli inquisitori potevano proseguire le indagini in segretezza, per scoprire gli altri aderenti alla Loggia tra cui degli aristocratici. Così aveva confidato Casanova all’informatore, pensandolo amico. ecco quanto mi scrive Edoardo:
Caro Milo,
hai ragione, documentarsi è fondamentale.
Talvolta le carte dicono esplicitamente una parte, un’altra la dice la situazione contingente.
Rinaldo Fulin ed Eugenio Vittoria non hanno dubbi che il proselitismo per le quella setta sia la vera causa dell’arresto di Casanova (pp. 21-23); ci è rimasta la delazione del Manuzzi, che descrive i modi in cui il grande libertino cercò di metterlo a parte del segreto e indurlo ad affiliarsi. Scrive l’abate Fulin nel 1877: “rimontiamo alle idee che prevalevano più di un secolo addietro e sarà, credo, difficile persuadersi che gl’Inquisitori di Stato potessero tollerare nel 1755 che nei ritrovi pubblici e nelle case patrizie il Casanova, non contento a diffondere cogli scritti l’immoralità e la miscredenza, si affaticasse a cercare novelli adepti alle logge dei Liberi Muratori”. Mutinelli, difensore di Casanova, scrisse : “dall’Archivio degl’Inquisitori di Stato fu tolto, come appare da una annotazione, il processo formato contro Giacomo Casanova, sostenuto intanto nella carcere dei Piombi”, dove doveva scontare una detenzione di cinque anni, un po’ eccessiva per semplici colpe di religione benché, commesso in certe forme, fosse questo un reato gravissimo.
Reprimere le società segrete (che, con le società di pensiero, furono le vere artefici dell’illuminismo e della rivoluzione francese) era compito delicato, non risolvibile con la spiccia applicazione di norme penali.
Anche nel 1785, quando si provvide allo smantellamento generale delle logge a Venezia e nel Veneto non si diede corso a grandi arresti e persecuzioni: si espulsero i frammassoni di cittadinanza straniera e si emarginarono o tennero sotto controllo i nobili individuati negli elenchi degli adepti.
La sovversione è un reato così grande, che sormonta gli aspetti giuridici e va a cozzare direttamente con l’aspetto politico, ossia la sicurezza dello Stato.
Come al solito, della storia non abbiamo ogni dettaglio, ma quanto basta…