La Leggenda dei Gatti veneziani
di Simonetta Dondi dell’Orologio
Da molti secoli i veneziani rispettano i gatti che, al tempo della Serenissima, nei lunghi viaggi verso l’Oriente, venivano usati per difendersi dai ratti.
La loro bravura era tale che si decise di imbarcarli come ciurma a gruppi di tre o quattro con un marinaio specificamente addetto ai gatti ed erano considerati dei veri e propri portafortuna.
La leggenda narra che con le galeazze veneziane, che in quei tempi facevano da corrieri commerciali tra Venezia e l´Oriente, arrivò anche il famigerato topo nero, il topo della peste, e poiché i gatti veneziani non erano sufficientemente feroci per combatterlo, si decise di importare dalla Palestina e soprattutto dalla Siria una razza molto combattiva – i soriani – per incrociarla con i gatti veneziani.
Anche se il flagello era ormai esploso in tutta la sua virulenza, I gatti importati contribuirono in buona parte a sconfiggerlo e cominciarono a gironzolare nelle corti, calli, campielli e case dei veneziani.
Tuttavia erano morte ormai quasi 50.000 persone, tra cui il grande Tiziano Vecellio e il Doge fece un voto solenne in nome della città: avrebbe fatto erigere un tempio se la Serenissima fosse scampata al totale annientamento. Scongiurata la peste, la Serenissima volle mantenere il voto dei veneziani e fu commissionata ad Andrea Palladio la progettazione di una maestosa chiesa alla Giudecca.
Posta la prima pietra del grande tempio, si costruì provvisoriamente, nella 3^ domenica di luglio, una chiesetta in legno e venne gettata una lunghissima passerella galleggiante su centinaia di chiatte per unire l´isola della Giudecca a Piazza S. Marco.
Da qui, in segno d´umiltà e gratitudine, sfilarono in processione verso il tabernacolo il doge Sebastiano Venier alla testa delle Scuole d´Arti e Mestieri, delle Confraternite Religiose e del popolo.
In seguito il tempio fu completato in tutta la sua magnificenza e, ancora oggi, si continua a costruire un ponte di barche che, per la ricorrenza, unisce le Zattere alla Giudecca.
Una risposta
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