L’ARSENALE E LA GLORIA DI VENEZIA
“Tremila ottocento maestranze, ottanta cantieri aperti in contemporanea…”Pensa a qualsiasi mestiere, l’arsenale lo contiene”. Diamo di nuovo la parola a Paolo Rumiz, grande giornalista innamorato di Venezia.
Il sole picchia, il vento gira a maestrale, gonfia le vele verso l’Istria, l’ombra delle galere ci segue ancora. E’ difficile staccarsi da Venezia senza fare i conti con quella che da sempre è l’ultima, folgorante visione di chi salpa da San Marco: l’Arsenale, madre di tutte le battaglie, cuore della serenissima potenza, prima grande industria dell’era moderna. Da qui sono uscite tutte le navi in legno di Venezia. Le galere si costruivano solo lì, nessun’altro nello “Stato da mar” aveva il permesso di farlo.
Con Lepanto l’Arsenale visse il massimo dello splendore: tremilaottocento uomini a regime, ottanta cantieri aperti. Anche questa è un’immagine indescrivibile. Il formicolare di tagliatori, squadratori, lattonieri, stagnini, fabbri, fonditori, muratori, pompieri, falegnami, calafati, cordai. L’andirivieni di armaioli, maestri d’ ascia, tessitrici di vele e filatrici di canapa, magazzinieri, fornai per la produzione del “biscotto”. “Pensa a qualsiasi mestiere: l’Arsenale lo contiene” mi spiegava ieri lo storico Guglielmo Zanelli, aprendomi la porta dell’immenso cantiere. Dentro, la meraviglia.
I padiglioni intatti dove vennero assemblate le vincitrici di Lepanto, le geleazze, galere da mercanzia armate con cannoni. La sapienza della stagionatura del legname; l’arrivo via acqua dei tronchi di rovere, faggio, larice, abete; il viaggio dei battellieri da Cadore, Cansiglio, Montello, Istria e Dalmazia, la ferrea disciplina che regnava in quello spazio blindato che ancora oggi la Marina italiana chiude con una catena.
Si tagliava la mano ai ladri, in Arsenale. Si bruciava un occhio a chi non sorvegliava a dovere. Si impiccavano gli imbroglioni. Metodi islamici diresti oggi. E poi, a memoria dell’abominio, si fissava al muro dei cantieri una lapide ammonitrice con data, reato e sentenza.
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Si punta su Parenzo in un cielo cobalto, l’Istria è una striscia verde scuro che manda già odore di terra. Salvia, polvere. Fame boia, sonnolenza, un maggiolino esausto si posa sulla tolda. Parenzo, ex base veneziana della corporazione dei piloti. Era obbligatorio seguire fin qui i loro barchini; nulla si muoveva che San Marco non volesse. L’Adriatico non lo chiamavano nemmeno “mare”. Era il “canal”, come dire un prolungamento del Canal Grande, uno spazio blindato, il golfo privato della Serenissima. Forse per questo la sua storia non è mai entrata nell’immaginario degli italiani. (2. continua)
(6 agosto 2004) Parte di un articolo comparso Repubblica.