L’introduzione del Tabacco a Venezia e in Valstagna
di Simonetta Dondi dell’Orologio
Il nome della pianta del tabacco deriva dalla piccola isola delle Antille, Tobago; essa è citata in un erbario di Pier Antonio Michiel, stimato botanico della seconda metà del Cinquecento, che la ricevette in dono da Giacomo Contarini, provveditore dell’Armata Veneziana in Fiandra.
Il Michiel afferma che il tabacco era utile per le cancrene e per la peste, il caso volle che egli morisse di peste nel 1576!
Comunque il tabacco si cominciò a coltivare nel Veneto e ad usare solo nel 1600; la vendita era riservata ai soli spezier de fin, inizialmente sotto i portici delle Prigioni Nuove.
Si usava soprattutto da fiuto, in quanto provocava una lieve irritazione al naso con conseguente starnuto liberatorio, utile, in particolare, per il mal di testa.
L’uso si diffuse rapidamente e la Repubblica pensò di trarne un utile dando in appalto il monopolio del tabacco: il primo ad avere questo compito fu l’ebreo Daniel Davide Da Pisa.
Lo spaccio pubblico era situato in Corte Gregolina, nei pressi della Madonna dell’Orto, poi fu trasferito alla Fondamenta delle Penitenti e quindi a S.Andrea.
La prima fabbrica di tabacco si aprì nel 1790, all’interno della Casa Granda di proprietà della famiglia Barbaro, lungo il Rio delle Burchielle: questo edificio, poi, diverrà il magazzino della più vasta fabbrica costruita in epoca austriaca.
La Manifattura Tabacchi vide lavorare al suo interno centinaia di persone, per lo più donne che vivacizzavano con il loro passaggio la zona.
In questa nuova produzione si era specializzata la gente della Valsugana:
“Di tabacco si muore” sostiene la scienza; “Di tabacco si vive” (o meglio si viveva!) affermava la gente della Valbrenta.
“Questo tratto di valle, circondata dalle pareti rocciose del Massiccio del Grappa e dell’Altipiano dei “Sette Comuni“, offre immagini caratteristiche e poetiche con tutta una serie di borgate allungate sulle sponde del fiume Brenta. La vita quassù non è stata mai facile! La struttura fisica della Vallata del Canale di Brenta è tale per cui è azzardato parlare di economia strutturata e di coltivazioni intensive. Si strappava alla terra il pane ed il “companatico” necessario con metodi tradizionali ed essenziali. Il bestiame trovava di che alimentarsi con il fieno colto sugli erti pendii e nelle malghe; con il legno dei boschi montani, affidato alla corrente del fiume, viveva la maggior parte dei paesi del Canale. L’impetuoso e talvolta bizzarro e minaccioso fiume offriva la forza motrice per gli opifici.
A rivoluzionare la povera economia della Valle arrivò, nella seconda metà del seicento, una pianta esotica: il TABACCO.
Della plurisecolare coltivazione, oggi quasi estinta, rimane il ricordo nei caratteristici terrazzamenti sostenuti con “muri a secco” e denominati “masiere” che si innalzano sui pendii delle montagne fino a 400-500 metri sul livello del Brenta. Si continua oggi, su qualche fazzoletto di terra, a coltivare il tabacco, ma a fondo valle, più vicino alle abitazioni, dove la fatica è minore. Ma per secoli dalla coltivazione del tabacco e dal suo contrabbando la gente del Canale di Brenta aveva ricavato quel minimo che le garantisse almeno la sussistenza.
Con le prime attività colturali e quindi artigiane e commerciali, la nostra gente si avvia piano piano a praticare forme di commercio al limite della legalità. Fin dal 1500 e nei secoli successivi, i “canaloti” commerciavano in legname, carbone, “biade”. E in piena guerra di Cambrai, pur confermando la loro piena e provata fedeltà alla Serenissima Repubblica di Venezia, fornivano di varie mercanzie le genti della pianura e della città, e oltre confine trafficavano con le popolazioni trentine e con gli stessi emissari dell’imperatore Massimiliano I”
Anche Girolamo manfrin aveva vinto l’appalto del tabacco, non so quando…