SARDEA”, L’UOMO CHE VENDEVA RANE.
Di Millo Bozzolan
Ieri, conversando in fbook del khebab siamo finiti per parlare di rane, e i miei ricordi sono andati lontano, a metà degli anni ’50 del secolo passato. Mi è venuto in mente “Sardea”, che le catturava e vendeva porta a porta. In paese lo si chiamava così per via che un altro lavoro suo, era di passare di casa in casa con la cassetta legata nel portapacchi della bicicletta, piena di pesce, in genere sardine e qualche cefalo (sievolo), tutto coperto dal ghiaccio, fin che resisteva, e da un sacco bisunto di juta e una stadera (bilancia) portatile con cui pesare la mercanzia venduta.
Passava ogni venerdì, ché a quei tempi, anche se non andavi in chiesa e magari votavi per i compagni, la giornata di “magro” (divieto di mangiar carne) la rispettavi. Ebbene, oltre a questa attività, questo “business”, che gli era valso il titolo di “sardea” (me lo ricordo come un tipo piccoletto e magro, una sardina dall’aspetto, appunto), lui si dedicava in stagione anche alla pesca delle rane nei fossi intorno, all’epoca puliti e pullulanti di vita.
Usava (io lo vidi all’opera, qualche volta) un semplice bastone a mo’ di canna, un lungo filo a cui aveva appeso tre grossi ami, annegati in un po’ di piombo. Gli ami erano coperti da un fiocco di cotone, e lui faceva passare l’esca (il fiocco di bambagia) davanti al naso dei poveri animaletti, che pensando a un qualche insetto, spiccavano un salto e lo inghiottivano, infilzandosi. Poi le rane venivano infilate tutte insieme, dopo essere state uccise, a un ramoscello di salice arrotolato e con quel trofeo bussava alla porta delle nostre mamme.
Mi pare venissero vendute a peso, come il pesce e in ogni casa era considerato un pranzo un po’ speciale. Ricordo carni molto buone, una volta spellate e infarinate, venivano cotte in padella (farsora), prive della testa, e anche quello aiutava a campare con poca spesa. Il “Sardea” arrotondava i magri guadagni della pescheria ambulante, noi si cresceva forti e sani anche grazie alle sue rane.