UN VENEZIANO NON SI PIEGA AL TURCO: LA SFIDA
Cento anni prima di Lepanto un Alvise Zorzi, al comando di una galea commerciale osa sfidare le navi turche, per una questione di principio. Era il rispetto delle regole, contro il sopruso spalleggiato dalla forza. E vinse il veneziano. Ce lo raccontò Paolo Rumiz in viaggio in barca sulla rotta per Lepanto.
CAPITAN Illy riparte, diventa un puntino a Nordovest. Resto a Ragusa in cerca d’imbarco, ma senza fretta. Dopo una settimana di mare il mondo non ti tange; lui gira e tu lasci che giri. Ti invade un fatalismo orientale. Decido che non sarò io a cercare la barca per proseguire, ma la barca a trovare me. Intanto Ragusa fa strani effetti, mette voglia di frittura di peoci e ostrighe all’ora della brioche. C’è già la coda alla “Konoba” in piazza.
In alto, muraglioni medievali, grandiosi, fatti da un italiano. Al largo, il mare del Montenegro. Sotto, i pescatori, ignorati dal mondo. Parlano raguseo, un misto di croato, veneto e qualcos’altro che pare ellenico. L’isola di fronte non la chiamano Kolocep, come sta scritto sulle carte, ma Kalamota, come i veneziani e i greci. Un pescatore di nome Ante si offre di portarmici col suo “topo”. Accetto senza esitare.
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Finisce che navighiamo ciacolando per tre ore. Il vecchio mi spiega i suoi concetti sulla “marineria”. Precedenze, regole, fieramente rivendicate di fronte al disordine “turco” dei serbi e dei bosniaci. Riecco il segno di Venezia! Un secolo prima di Lepanto, in tempo di pace, la galera del comandante Alvise Zorzi incontrò una squadra ottomana di nove vascelli, ma rifiutò di ammainare come segno di omaggio, solo perché il turco non voleva dire chi fosse al comando. Per questo nonnulla seguì un furioso combattimento, con morti e feriti. Quando dopo due ore si parlamentò, si capì il malinteso.
Spiegò poi Zorzi al suo armatore: “Me parse più presto dover patir morte et ogni altro pericolo che dover ammainar né honorar persone che non era cognosciute”. La dignità della Repubblica stava al di sopra di tutto, delle mercanzie e della vita. Il turco era di opposto avviso: sentendosi di forze superiori gli era parso ovvio ricevere omaggio senza condizioni. Il diritto era la forza. Per il veneziano, questione di regole.
Conflitto di religione? Balle. Quando Grecia e Persia si affrontarono a Salamina, l’Islam non esisteva. Ma la posta in gioco era già quella. Forza della “Lex” contro potere imperscrutabile del monarca assoluto. Chiamalo Zar, Saddam, Stalin o Bin Laden, il discorso non cambia. Conflitto di mentalità. E basta.
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Molto interessante come espressione di regole e mentalità. Certo che una galera commerciale (se era così visto il rendiconto all’armatore) che metteva in pericolo carico ed equipaggio contro una seppur modesta squadra navale militare turca (sembra così) mi fa pensare che questo comandante Alvise fosse un arrogante e scriteriato, a meno che non comandasse una potente galera da guerra ben armata dedita anche al commercio.