Canapa per la dote
di Antonella Todesco
Le notti polesane erano piene di fruscii, non solo nei palazzi di campagna delle nobili famiglie veneziane, ma soprattutto nelle povere case e casoni che sorgevano lungo i rami del Po.
Erano solo le ruvide, sgradevoli lenzuola di canapa, sussurranti così come i “paiún” i sacconi di foglie di granoturco che sostituivano i materassi nel povero letto dei Veneti dopo l’annessione all’Italia.
Erano le giovani ad occuparsi della tessitura, giovani spose che preparavano la propria dote d’inverno, nelle stalle, quando il lavoro nei campi si fermava.
Il bilancio di una famiglia di contadini (e non solo) era terribilmente magro e per rimpolparlo un poco, si prendeva in affitto un campo da un proprietario terriero e lo si coltivava a canapa; del raccolto al bracciante ne sarebbe spettato un 30% appena. Di questo 30 una parte veniva venduta e un’altra trattenuta per fare la dote alle figlie.
La preparazione della canapa era competenza tutta femminile. Veniva dapprima tagliata e distesa al sole sulle aie per seccarla, poi si divideva in fasci a seconda della lunghezza degli steli e si andava al “masero”. Il macero consisteva in una pozza di acqua ferma dove i fasci di canapa erano legati a mo’ di zattera. Ogni giorno, per una o due settimane, si doveva andare a controllare le fascine e a smuoverle nell’acqua tuffandole ripetutamente nelle “quore”, il limo del macero.
Giunti al giusto punto di macerazione (la canapa non avrebbe tollerato un giorno in più di macerazione senza marcire), le donne si immergevano fino alla cintola nell’acqua putrida e battevano per ore e ore i fasci di canapa per liberarli dalla pellicola esterna.
Nei prati vicini la canapa veniva poi stesa al sole. A questo punto bisognava trattare le fibre e lo si faceva anche questo sull’aia dove le donne si riunivano e battevano e “scavezzavano” i fasci per passare alla “gramola” le fibre. Seguiva una specie di cardatura al pettine, simile a quella della lana e quindi la filatura all’arcolaio vero e proprio. La tessitura della tela era l’ultimo atto della lavorazione.
Affatto belle né eleganti, anche se spesso ornate con orli e ricami, queste lenzuola di tela grezza avevano un solo, importantissimo pregio: quello di durare quasi in eterno.
liberamente tratto da: “Il Veneto, paese per paese” autori vari