Una riflessione sulla donna
(ndr) Oggi vogliamo riportare pari pari così come scritta una riflessione sulla donna veneziana tratta da “Venezia nella vita privata” di Molmenti.
La storia ricorda soltanto le donne veneziane che lasciarono un segno tangibile della loro indipendenza, come le regine, le poetesse, le eroine e le mogli di questo o quell’altro personaggio importante.
La penna di scrittori e poeti e il pennello degli artisti ci hanno poi abituati all’idea di una donna delicata, dall’aspetto quasi angelicale e amorfo, tralasciando di evidenziarne il carattere vivace.
La storia, non viene scritta da donne “poco importanti” ma alcune di queste, con piccoli episodi come quello che sto per raccontarvi, hanno contribuito a far luce su quale fosse la considerazione di cui esse godevano all’interno di una società prettamente maschile e maschilista come la si vuol dipingere.
Siamo nel 1500 ca, ad una festa in Palazzo Cornaro a San Polo, tra il fervor delle danze, un giovane in maschera, Giovanni Bernardo, urta un giovane patrizio, Priamo Tron, e lo fa con tanta violenza da farlo cadere a terra.
Il Tron, si rialza subito, mette mano al pugnale e si avventa sul Bernardo ferendolo ad una mano. Anche gli astanti intervengono alla rissa e più di trecento ferri, tra daghe e pugnali scintillano alla luce dei candelabri.
Le donne, e gli uomini privi di un arma corrono a nascondersi nelle stanze vicine.
I sostenitori dell’un contendente e dell’altro si erano intanto divisi in due schieramenti, pronti a darsi battaglia quando in mezzo a loro balza “con una cadrega in mano” una gentil dama, Elisabetta Malipiero, la quale parlando con voce e animo sicuri esclama:” Signori! Che vergogna è questa averci fatte venir qui noi, gentildonne, per ballare, e voi in un subito aver guasto la festa? Io protesto, da parte di tutte le altre gentildonne, che se voi non metterete le arme nelli suoi foderi, che noi per l’altra scala ci partiremo, né mai più accetteremo di essere invitate da gentiluomo alcuno”.
Le parole di Elisabetta, che fecero discutere per un pezzo la città, ebbero il potere di calmare gli animi. I ferri furono ringuainati e le gentildonne che erano “più di cinquantasei tra le più belle di Venezia” (cit. Molena) rientrarono nella sala e i suoni e le danze ricominciarono.