CAVOUR TRAMA PER L’AGGRESSIONE AL REGNO DI NAPOLI, IL “DIETRO LE QUINTE”
I Mille? Benedetti dal conte di Cavour
di Angela Pellicciari
La spedizione in Sicilia sarebbe stata impossibile senza l’appoggio – segreto – del Regno di Sardegna.
“Venga da me quando vuole, ma pria di giorno e che nessuno lo veda e che nessuno lo sappia. Se sarò interrogato in Parlamento o dalla diplomazia (soggiunse, sorridendo), lo rinnegherò come Pietro e dirò: non lo conosco”: così – racconta La Farina – gli disse Cavour durante uno dei numerosissimi e super segreti colloqui per organizzare quella che è passata alla storia come “spedizione dei Mille”.
Perché Cavour non vuole che venga alla luce l’organizzazione capillare da lui stesso meticolosamente preparata – insieme al fido La Farina – per l’invasione dell’Italia meridionale? Perché la vulgata esige che il Regno di Sardegna intervengano solo ed esclusivamente per soccorrere le popolazioni italiane che “gemono” sotto il giogo della schiavitù: in caso contrario, se le apparenze non sono salvate, Cavour rischia la perdita della copertura internazionale indispensabile per l’unificazione dell’Italia sotto i Savoia.
La storiografia del Novecento ha puntualmente ripetuto la versione di comodo raccontata al mondo dai governanti sardi. Ma le cose non stanno così. Per sapere come si sono svolti i fatti è utile ricorrere all’epistolario e agli articoli del braccio destro di Cavour, l’influente storico massone Giuseppe La Farina, potentissimo segretario della Società Nazionale. Nella lettera del 14 ottobre 1860, per esempio, questi racconta all’amico Pietro Sbarbaro: “V’è una parte della mia biografia completamente sconosciuta, ed è forse la più importante, voglio dire le mie relazioni con conte di Cavour: relazioni intime, e pur tenute segretissime dal ‘56 al ‘59, e non sospettate né anco dagli amici stretti del Conte di Cavour. Io vedeva il conte di Cavour quasi tutti i giorni prima dell’alba […] fui io che gli feci conoscere Garibaldi, e che l’indussi ad adoperarlo nella guerra d’indipendenza che si apparecchiava […] Le potrò dare notizia della parte presa da me e dalla Società Nazionale alla spedizione di Sicilia; ed Ella vedrà che il concetto fu mio; che Garibaldi esitava (e ne ho documenti)”, che “e armi e munizioni furono somministrate a Garibaldi da me: egli non aveva nulla”.
In una lettera di poco posteriore lo storico siciliano è ancora più esplicito: “Gl’indugi alla partenza [per la Sicilia] vennero da Garibaldi e da’ suoi amici, i quali dicevano quella impresa una follia. Garibaldi si decise a partire, quando seppe che i Siciliani sarebbero partiti senza di lui. Questa è la verità vera”. La verità che La Farina racconta nelle lettere è da lui lui divulgata anche a mezzo stampa. Sull’Espero il 24 gennaio 1862, per esempio, La Farina scrive: “Per quattro anni lo scrittore di questi articoli vide, quasi tutte le mattine, il conte di Cavour, senza che qualcuno de’ suoi intimi amici lo sapesse, andando sempre due o tre ore prima di giorno, e sortendo spesso da una scaletta segreta, ch’era contigua alla sua camera da letto, quando in anticamera v’era qualcuno che lo potesse conoscere!”.
Dalla testimonianza di La Farina il ruolo di Garibaldi nell’impresa siciliana risulta decisamente ridimensionato. Sarà vero? Sembrerebbe di sì. Perlomeno a leggere quanto il generale scrive a La Farina da Caprera l’8 gennaio 1859: “Circa all’organizzazione convenuta io la lascio interamente a voi. Medici e chiunque de’ miei hanno ordine di non fare nulla senza consultarvi. Lo stesso ho raccomandato a quei di dentro. Vogliatemi bene e comandatemi”.
Se il ruolo di Garibaldi è stato gonfiato ad arte – Garibaldi non avrebbe fatto un passo senza Cavour e La Farina, i loro soldi e le loro armi – cosa dire dei Mille che hanno seguito il generale nell’eroica impresa liberatrice? Leggiamo cosa pensa di loro il generale Giuseppe Garibaldi: “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del malaffare.