“costringete ognuno a obbedire alle leggi con le quali si frena l’immoderata cupidigia degli uomini.”
Di Milo Boz, veneto marciano.
Venezia, Palazzo Ducale, originariamente in sala dell’Avogaria (ora negli appartamenti del Doge, in sala Grimani), telero di Donato Bragadin … lo dipinse nel, 1459 e vi raffigurò San Marco in forma di leone tra due grandi Dottori della Chiesa, S. Girolamo a sinistra e S. Agostino a destra.
Sul libro aperto che viene tenuto in piedi con una zampa si può leggere: “legibus quibus immoderata hominum frenatur cupiditas quempiam parere cogatis” il che significa “costringete ognuno a obbedire alle leggi con le quali si frena l’immoderata cupidigia degli uomini.”
Sul cartiglio che Girolamo regge in mano troviamo scritto: “nihili quempiam irati statuatis” e cioè “non sentenziate nessuno su nulla quando siete arrabbiati.” Anche sul cartiglio che Agostino fa svolazzare si può leggere: “hominum uero plectentes errata illa non tam magnitudine peccati quam uestra clementia et mansuetudine metiamini” e cioè “in realtà, nel punire gli errori degli uomini misurerete non tanto l’entità dei loro peccati quanto la vostra clemenza e bontà’.”
Si tratta di una serie di sentenze, moniti, precetti ed esortazioni al buon governo, assolutamente necessari in una sala che dedicata agli operatori della giustizia della Repubblica Veneta.
Sant’Agostino è stato qui raffigurato come vescovo rivestito dei suoi abiti episcopali con nella mano destra il bastone pastorale. Il santo ha un viso di persona matura con una foltissima barba castana che gli copre il volto e il petto. La tela nel suo complesso è un dipinto ritardatario ispirato a esemplari anteriori dello stesso motivo araldico.
Al solito, la Civiltà Veneta si intrecciava con il Cristianesimo.