volevo lasciar perdere, tanto, dato l’uditorio, so che serve a poco, ma mi sta montando dentro un senso di disagio e rabbia, dopo aver letto le dichiarazioni del giullare Balasso (giullare nel senso antico del termine) nel suo blog a proposito della lingua veneta, secondo lui inesistente. Vuoi vedere che il 70 per cento dei veneti che ancora la usa, parla un idoma inesistente?
Sareb
be un fenomeno curioso degno della fisica quantistica, da segnalare alla Gelmini, esperta del settore. Cosa significa “non esiste?” che perché declinata nelle varianti locali non merita considerazione? Questa è la caratteristica di ogni lingua viva. Lo sa il Balasso che persino sotto il fascismo il veneziano (l’espressione più alta e letteraria del veneto) era considerato lingua per legge, assieme al toscano e al napoletano?
Evidentemente il furore ideologico dei “patrioti giacobini”veneti (tranne l’eccezione del consigliere PD di Albignasego, che avrà le sue gatte da pelare, prevedo) è tale da mortificare persino il loro patrimonio culturale. Che dobbiamo dire allora del friulano e del sardo? Eppure il friulano è diversissimo tra la Carnia e Udine, ad esempio.
Proprio nei tempi in cui voi esaltate la diversità e la particolarità dei popoli che arrivano ospiti più a meno graditi, più o meno invitati, in massa da noi, non dobbiamo tutelare la nostra cultura e le nostre radici che rischiano di essere sommerse nel giro di qualche decennio. Anche se so che che qualche bello spirito, dalle parti vostre, tipo Oliviero Toscani, non vede l’ora che anche qui si arrivi al melting pot, con buona pace di 3000 anni di storia della nostra gente.
Se a voi sta bene, a chi si ritiene Veneto con la maiuscola (non per autoealtazione, ma come appartenente a nazione storica) non va bene proprio. Si incominci a permettere l’uso della lingua locale anche in ambiente scolastico, la si tuteli, se ne insegni la storia e ognuno sia libero di usarla nella maniera declinata in loco. So che sembra una cosa sconvolgente a chi è abituato a schemi accentratori impostati delle menti che copiarono uno stato rigido di stampo napoleonico, ma ai tempi della Repubblica di Venezia, era cosa normale il rispetto delle tradizioni e lingua locale, su cui non valeva neanche la pena di perderci un attimo di riflessione.
Per cui ad esempio le testimonianze nei processi venivano trascritte, se non erano rese in toscano, nell’idioma locale. Basta documentarsi. E nessuna autorità obbligava allora la gente a usare una lingua che sentiva estranea come il toscano e neanche la variante del veneto veneziana.
Magari Balasso non sa che ad Aquileia nel IV secolo d.C. già si parlava un veneto arcaico, derivato dal latino con grosse influenze ventiche. Su una lapide in memoria del defunto la moglie fece scrivere CO VOLT DEONI, che si può leggere: (si sale al cielo) CO VOL DIO quando piace a Dio. E sarebbe bello che i giovani della zona e gli altri piccoli Veneti imparassero queste cose a scuola, e i loro genitori non si vergognassero di parlare loro nella lingua dei nonni. O no?
Milo Boz