I FUCILI DELL’ESERCITO VENETO
di Millo Bozzolan
I FUCILI VENETI NEL ‘700
All’inizio del secolo il fante veneto fu armato di moschetto e baionetta. Questa era di nuova concezione poiché si innestava ad un lato della canna,
restando così ben stabile. Era una innovazione presa dalla Germania, Nazione leader allora in campo militare, che permetteva finalmente di fare fuoco con l’arma bianca innestata. Prima la si infilava nel vivo di volata mettendo un tappo a cui era saldata e rendendo il fucile inutilizzabile per lo sparo.
Il primo a ricevere la nuova baionetta fu il reggimento del col. Marchesini (all’epoca i reggimenti erano ancora “proprietà” dei colonnelli, che li gestivano con larga autonomia) su disposizione del Provveditore Alessandro Molin. Anche il moschetto, prima a miccia, veniva del tutto sostituito con il modello dotato di acciarino e pietra focaia e nel 1715 tutti i reggimenti ne erano provvisti.
Da notizie raccolte dallo studioso Favaloro, sembra che ancora a fine ‘700 nell’Arsenale si lavorasse alla sostituzione degli acciarini dei moschetti di inizio secolo.
Abbiamo la prima notizia di un tentativo di costruzione di un modello standard di fucile veneto solo nel 1759, si tratta del modello Gasperoni, brillante ufficiale che diventerà poi il responsabile delle artiglierie venete. Tuttavia, il progetto fu accantonato, dato che presentava al momento, insolubili problemi di organizzazione nel distretto di Brescia in cui si pensava di montare l’arma, con pezzi prodotti localmente.
Arriviamo così al 1776, anno in cui un altro ufficiale veneto, il conte Tartagna, presenta il suo modello, che nel progetto presentato, di cui si conservano i disegni come il modello precedente, suggerisce anche dove procurarsi certi componenti al prezzo migliore, nell’Italia settentrionale.
Nel frattempo le armi della fanteria e probabilmente delle cernide, erano state acquistate per gran parte, oltr’alpe. Ricordo ad esempio di aver notato in quadri riprodotti dal Favaloro nel suo volume, armi in mano degli schiavoni, di origine francese, ma credo che la più parte fosse fabbricata in Germania.
Per gli oltremarini da quanto si deduce studiando il ritratto dello schiavone con le due ultime uniformi in uso, conservato al Correr, le armi da fuoco erano di produzione locale dalmatina, lo fa pensare la particolare forma del moschetto appoggiato alla spalla del baffuto soldato del reggimento Bubich, tra l’altro privato della baionetta e del cinturino (l’arma si portava a spalla o a braccio).
Un discorso a parte merita l’armamento degli equipaggi di marina e delle scorte imbarcate. E’ probabile che anche Venezia, negli assalti al naviglio nemico, dotasse i soldati e gli “scapoli” (personale di bordo) di corti tromboncini, come in uso nelle altre marine europee.