I PROFUGHI VENETI DELLA GRANDE GUERRA… AL RIENTRO NIENTE HOTEL MA LA NUDA TERRA
Guido Pederoda - Tra macerie e miserie di una regione dimenticata
…Ecco Italia, perché il popolo veneto, se conosce la propria storia, continua da allora e anche da prima di allora, espulso dalla sua terra con l’emigrazione forzata, a considerare lo stato italiano il suo peggior nemico, a cui bisogna sottrarsi in ogni maniera.
Alla fine delle grande guerra l’Italia in realtà era un paese altrettanto devastato dell’Austria e della Germania che avrebbero dovuto provvedere a risarcire i danni. Nella sola provincia di Treviso essi ammontavano a dieci milioni di allora, una cifra iperbolica. “E non li deve pagare Treviso, li deve pagare l’Italia”, scriveva con toni indignati ‘L’Illustrazione Italiana del 1919’.
Le zone ‘liberate’ inoltre dovevano sopportare il peso dell’esercito ‘liberatore’, composto tutto di gente inferocita per la ‘ferma prolungata’ che avrebbe dovuto essere impiegata per bonificare la zona devastata totalmente, assieme ‘alle ciurme dei prigionieri adibite al restauro degli argine e delle strade…. i nostri soldati vissero in realtà, per mancanza di ordini e organizzazione adeguata, in uno stato di inattività e di disordine che peggiorò, in modo assai grave, le condizioni locali…
Non deve stupire perciò se nei primi mesi la permanenza dell’esercito nelle terre liberate aggiunse, a quelli arrecati dalla guerra, o dovuti alla rapacità o alla brutalità dell’occupante nemico, nuovi danni incalcolabili’. (Silvio Trentin). Esagerazioni? Niente affatto. “Ai 60.000 uomini che per circa tre mesi stazionarono nei comuni di San Donà di Piave e Noventa non fu mai distribuita una razione di legna. Come si può dar colpa al fante se si trovò costretto ad abbattere gli ultimi alberi superstiti e demolire le costruzioni ancora utilizzabili, per cucinare e scaldarsi?”
Non dimentichiamo che si era in pieno inverno. Piovono a Roma proteste che il governo Orlando rigetta, ritenendole ‘inverosimili’. Ultima ciliegina, in questo caos assoluto, sempre per decisioni avventate e prive di ogni logica, vengono rispediti in loco i profughi di guerra, ospitati in varie zone d’Italia, di cui i prefetti locali, non vedevano l’ora di liberarsi. Questi disgraziati, vecchi, donne e bambini, non trovano una tettoia in cui ripararsi. “Le scene cui diede luogo l’intempestivo l’intempestivo ritorno nei comuni lungo il fiume sacro, ridotti a cumuli di macerie, non sono suscettibili di descrizione…
Durante l’inverno rigido e piovoso, numerose famiglie furono costrette a giacere sulla terra, senza una coperta, senza un po’ di paglia, in una forma di convivenza tra trogloditica e bestiale”. I prefetti del Regno continuarono con ottusa obbedienza agli ordini centrali, a spedire la popolazione e se questa, conscia di quello che l’attendeva, cercava di sottrarsi, erano considerati da essi ” oziosi e vagabondi di tutt’altro capaci di che di sfruttare egoisticamente la sciagura piombata sulla loro terra”. Le baracche venivano su col contagocce, in un continuo contrasto di competenze e una confusione totale.
Ecco Italia, perché il popolo veneto, se conosce la propria storia, continua da allora e anche da prima di allora, espulso dalla sua terra con l’emigrazione forzata, a considerare lo stato italiano il suo peggior nemico, a cui bisogna sottrarsi in ogni maniera.