I VENETI ANTICHI AGRICOLTORI E LA TANGENTE ALLE CORNACCHIE
L’agricoltura era, per i Veneti antichi, un’attività di grande importanza.
I campi veneti erano squadrati e circondati da alte siepi d’alberi e da un fossato per lo scolo dell’acqua piovana.
Questa caratteristica, chiamata “campi chiusi”, è rimasta nel tempo e dura ancor oggi.
Prima della semina, gli agricoltori aravano i campi con gli aratri, fatti di legno, trainati da bovini ma anche da cavalli.
Coltivavano molti tipi di cereali, tra i quali l’avena, il farro, il frumento, la segale, l’orzo, il miglio, e di legumi come le lenticchie e le fave che usavano per le loro minestre.
I Veneti conoscevano e usavano una tecnica per ottenere abbondanti raccolti dai campi. Questa tecnica è chiamata del “maggese”. Essa veniva praticata così: un anno i contadini coltivavano solo metà dei campi che avevano a disposizione, mentre gli altri campi venivano solo concimati e il terreno era lasciato “a riposo”; l’anno successivo avveniva il contrario.
I Veneti erano molto conosciuti dagli altri popoli anche per la coltivazione della vite e la produzione del vino. La pianta della vite veniva sostenuta da alberi, ad esempio, olmi, faggi, querce. Questa tecnica è chiamata col nome di “vite maritata”.
Il vino veniva consumato dalle persone più importanti, ma soprattutto veniva offerto alle divinità.
Teopompo narra che gli Eneti residenti lungo l’Adriatico, quando è il momento dell’aratura e della semina, offrono alle cornacchie doni consistenti in specie di pani e focacce, impastate molto bene. L’offerta di questi doni vuole allettare e stabilire una tregua con le cornacchie, in modo che esse non scavino e non raccolgano il frutto di Demetra affidato alla terra (sementi)…
Lico concorda con questo racconto e aggiunge che gli eneti portano anche cinture purporee e che gli offerenti poi se ne vanno. Gli stormi delle cornacchie restano fuori dai confini, mentre due o tre di esse sono scelte e mandate verso i messi che arrivano dalla città, per rendersi conto dell’nsieme dei doni.
Queste, dopo l’esame, fanno ritorno, e chiamano le altre…Arrivano dunque a nugoli e, se assaggiano le offerte suddette, gli Eneti sanno di essere in stato di intesa con gli uccelli in questione, se invece non le curano sprezzandole come modeste, non le gustano, gli indigeni restano convinti che il costo di questo disprezzo sia per loro la fame. Se infatti i predetti uccelli non ne mangiano e, per così dire, non si lasciano corrompere, esse calano sui campi e saccheggiano la maggior parte delle sementi, scavando e cercando con rabbia tremenda.Eliano, n. v. XVII,16 (C. Voltan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti)
Dal sito Freschinelli.it per la prima parte.