I VENETI POPOLO D’EUROPA secondo il Direttore dell’Accademia delle Scienze polacca.
Il nome etnico “Veneti” lo si rinviene in forme diverse riferito a popoli storici che abitarono varie parti del continente (6) ed è contenuto in tanti toponimi. La sua diffusione disegna una vasta area continua che s’irradia dall’Europa centrale verso nord, nei Paesi Baltici e la costa polacca, verso Meridione nel comprensorio alpino e nelle valli padana e danubiana, e verso sud-est in Asia Minore. Altre tracce significative contenute nei nomi dei luoghi sono sparse tra Bretagna, Normandia, Galles e Scandinavia. Ricordi di sporadici insediamenti percorrono la penisola italica (come il popolo laziale dei Venetulani, ricordati da Plinio), fino in Sicilia (la messinese Venetico nella zona di Milazzo, prossima a campi di urne).
Dal punto di vista archeologico, somiglianze evidenti legano reperti e testimonianze di aree quali Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ucraina occidentale, Germania Orientale, Austria, Ungheria, Baviera, Württemberg, Slovenia, Istria, le Tre Venezie, la Romagna. «Nel territorio tra il Baltico e l’Adriatico le genti venetiche, nonostante i più tardi insediamenti dei Celti e la sovrapposizione delle parlate germaniche in vaste regioni, hanno conservato l’originaria fisionomia culturale sino ai nostri giorni. È sorprendente in questo contesto il ruolo dell’albero della vita, il tiglio (slov. lipa), che appare nei villaggi di tutta la Germania orientale, centrale e meridionale, come nei vicini paesi slavi. La conservazione del tiglio nei villaggi è il principale elemento che distingue l’antico territorio venetico da quello indoeuropeo, dove invece prevale la quercia»(7).
Su di un’area più ristretta (Veneto, Romagna, Trentino, Tirolo, Carinzia, Stiria, Friuli-Venezia Giulia, Istria, Slovenia) si è prodotta, soprattutto nei secoli VI e V, la cosiddetta Arte delle situle, connotata da una spiccata originalità figurativa e stilistica. In queste terre popoli d’origine venetica (i Veneti euganei, i Vindelici, i Reti, i Carni, i Norici, gli Istri e forse anche i Liburni (8)) parlavano una lingua a noi incomprensibile, usando in gran parte uno stesso sistema di scrittura, attestato in circa 400 iscrizioni: l’alfabeto venetico.
A cavallo tra l’Età del Bronzo e del Ferro, i Veneti furono la più grande e antica nazione europea (a differenza dei Celti, che non costituirono un ceppo etnico omogeneo). La scuola storica polacca, la più prestigiosa in ambito europeo, da decenni fornisce un contributo scientifico d’importanza decisiva. Witold Hensel ne è un autorevole rappresentante: ecco le sue considerazioni.
«A più riprese, diversi archeologi ipotizzarono l’esistenza di un vero e proprio ‘impero’ venetico, esteso dall’Illiria al Baltico, dal Nord Italia alla Bretagna. Per quanto riguarda la Polonia, l’insediamento venetico occupava una regione centrale delimitata al nord dal Mar Baltico e all’ovest da una parte della Slesia, mentre per i confini dell’est, essendo ancora incerti, si suppone che corressero in prossimità dell’Elba.
(6) In particolare, si ricordano: 1. I Veneti alpino-adriatici, già noti ad Erodoto con il nome Evetoi; 2. gli Evetoi dei Balcani Settentrionali; 3. gli Evetoi dell’Asia Minore (Paflagonia) noti ad Omero; 4. i Veneti noti a Giulio Cesare della Bretagna, il cui nome è sopravissuto nel toponimo della capitale Vannes; 5. i Venetulani del Lazio (etnico connesso al toponimo *Venetulum), menzionati da Plinio. Vedi in Golab, Veneti//Venedi, p. 328.
(7) Šavli, Interpretazione della toponomastica, pp. 272.
(8) STIPCEVIC, Gli Illiri, pp. 36-38, 158. Si parla di talassocrazia liburnica per indicare il dominio dei Liburni sul mare Adriatico, già all’inizio del I millennio a.C. Furono i fondatori di Adria e colonizzarono l’area di Ascoli Piceno. Nel 734 a.C. si ricorda un loro grande scontro navale contro i Greci. Il bacchiade corinzio Chersicrate riuscì a scacciarli da Corcyra. Nel V secolo a.C. cominciò il loro declino. I Liburni avevano una struttura sociale a forte connotazione matriarcale: le donne liburniche potevano amoreggiare con gli uomini di loro gradimento, anche con servi e stranieri. Tutte le loro divinità erano femminili. I monumenti sepolcrali di quell’area vedono prevalere quelli femminili su quelli maschili.
Tra questi Veneti baltici e i nostri Veneti euganei, ossia i Paleoveneti, la scuola polacca vedrebbe inequivocabili i segni di una comune origine; in particolare offrirebbero prove di un certo rilievo in tal senso le testimonianze relative alla spiritualità e al culto rinvenute sia nei territori polacchi che nel Padovano.
Oltre al rito della cremazione, praticato da tutte le genti venetiche, il ritrovamento di numerose figurine animali e la frequenza dei simboli legati al culto del sole e della fertilità, presenti sui contenitori ceramici e sugli oggetti in bronzo, lascerebbero intravvedere una certa identità d’origine attraverso le forti analogie dei simboli magico-religiosi … altre prove di affinità verrebbero offerte dalla presenza di un culto delle acque sananti, praticato secondo schemi troppo paralleli per esser considerati casuali; dalle forti analogie esistenti tra gli abiti rituali baltici e quelli euganei; dalla somiglianza di alcuni strumenti musicali; e non ultimo, dal forte legame con la figura del cavallo, sia sul piano economico che su quello delle credenze religiose.
Anche l’organizzazione sociale sembrerebbe offrire prove tangibili di questa affinità, specie per quanto attiene alla produzione ceramica e a quella metallurgica, affidate a gruppi di artigiani-mercanti. Mancherebbero invece dati sufficienti a documentare una più dettagliata correlazione tra i Veneti euganei e i Veneti baltici per quanto riguarda la tecnica costruttiva degli insediamenti fortificati. A questo proposito si conoscono dettagliatamente solo le costruzioni del Baltico, realizzate per lo più in legno secondo tecniche di netta derivazione mediterranea, distribuite su un’area compresa tra l’Oder e la Vistola. Per il momento non si hanno notizie di analoghi ritrovamenti nell’Italia settentrionale; ma Witold Hensel, convinto assertore di questa teoria, è certo che si tratti solo di tempo» (9).
(9) Rossi-Osmida, Polonia, p. 20. L’intervento svolto dai massimi vertici dell’archeologia polacca poggia su prove solide. Rossi-Osmida, il curatore italiano della rivista citata, s’ingegna in tutti i modi per ridimensionare la portata della ricostruzione storica svolta dai Polacchi, e così commenta: «Si sa che, attorno al I secolo a.C., i Germani indicavano i loro confinanti dell’est con il nome di Wenedi … segno evidente che non si erano ancora accorti dell’avvenuta slavizzazione dei vicini … l’equivoco, così sorto, portò all’identificazione dei Wenedi (e quindi dei Veneti) con gli Slavi: errore in cui incorsero quasi tutti gli scrittori dell’antichità: da Plinio a Tacito, a Tolomeo, a Jordanes». Queste dichiarazioni lasciano perplessi: tutti gli autori classici citati si sarebbero sbagliati, così pure gli antichi Germani non si sarebbero accorti che ai Veneti si sarebbero sovrapposti gli Slavi, infine centinaia di scienziati dei Paesi dell’Est sarebbero caduti vittime di vecchi equivoci, ai quali invece si sarebbe sottratta la scuola archeologica italiana.
Così si pronunciava il direttore dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale (Accademia Polacca delle Scienze).