IL PRETE CHE CAVAVA GLI OCCHI AI MARCHESCHI, E LA SUA FINE ESEMPLARE.
Di Edoardo Rubini
Per capire la solidarietà dei Veneziani verso i loro connazionali che resistevano contro gli Asburgo, ricordiamo anche l’episodio della condanna a morte di un prete, Bartolo da Mortegliano, che durante la guerra contro la Lega di Cambraj aveva introdotto le truppe imperiali nel castello nella laguna di Marano. I Veneziani erano riusciti a catturarlo con uno stratagemma mentre muoveva all’assedio di Portogruaro.
Condotto in catene a Palazzo Ducale, la gente voleva linciarlo perché in precedenza questo figuro aveva fatto cavare gli occhi ai contadini veneti che si erano sollevati a difesa della Serenissima, proclamandosi marcheschi. Il 18 marzo 1514 il Consiglio dei Dieci decretò la fine del religioso per alto tradimento.
Il mattino dopo gli si intentò il processo ecclesiastico celebrato da ben sette vescovi, suoi superiori, nella sagrestia di San Pietro di Castello; il vescovo di Eraclea gli chiese se pareva a lui di essere un buon sacerdote avendo perpetrato tanto male verso Dio e verso la Repubblica, ma l’accusato non rispose.
Allora venne condotto nella vicina chiesa per la lettura in pubblico della sentenza e l’arcivescovo di Lepanto, fattolo inginocchiare, lo spogliò dei paramenti sacri. Si procedette con gran celerità per togliere il tempo al Papa di intercedere, così il pomeriggio stesso l’Eccelso Tribunale chiuse il processo laico.
Il N.H. Marin Sanudo quella sera (era l’ora prima del tramonto), passava per caso in barca davanti alla piazza e assistette alla scena. La gente accorsa in gran numero si era accalcata sotto il palco. Dal boia partì una prima botta e la vittima crollò, ma seguirono altri quattro colpi per essere sicuri del decesso.
Ci volle mezz’ora buona per issare il robusto prete sulla forca a testa in giù: compiuta l’operazione ecco che il morto si risvegliò. Gli astanti gli scagliarono pietre addosso, «per abbreviargli i tormenti», spiega Tassini. Ma l’inclemente morale è riassunta dal cronista patrizio: «credo sentisse una crudel morte come merita li soi mensfati». L’inaudito supplizio cessò poco dopo.
Racconto che ha dell’incredibile, ma è tutto vero. Mette in luce la fortissima solidarietà tra Veneziani e Veneti, che nell’800 lasciava interdetto anche un autore colto come Giuseppe Tassini, che stentava a comprendere la ferocia con cui i Veneziani colpivano i nemici che avevano martirizzato altri Veneti.
Il fatto è che i Veneti si sono comportati come una vera Nazione, fatto inconsueto nel panorama politico italiano.
Anche allora. In Italia, infatti, si facevano sempre la guerra tra loro, una città contro l’altra.
A ricordo del testo citato, ecco la copertina: http://www.europaveneta.org/img/areadialogo/Giustizia_Veneta.jpg