il sequeri
di Antonella Todesco
Sequèri. se siete più giovani probabilmente non ne avrete mai sentito parlare, ma chiedete ai vostri nonni e sapranno sicuramente illuminarvi, molti ancora oggi continuano a recitarlo come un mantra. Ma cos’è il sequèri quindi? Un rito della nostra storia rurale, un’antica preghiera che la tradizione vuole che, se recitata per 13 volte, aiuti nel recupero delle cose perdute.
Questa preghiera, o responsorio, fu composta da fra Giuliano da Spira ed è contenuta nell’ Officium rhythmicum s. Antonii, una raccolta di canti in onore di San Antonio da Padova, pubblicata nel 1233, due anni dopo la morte del Santo.
Sequeri, come è intuibile leggendo il testo a fianco, non è altro che la storpiatura della prima riga in latino “Si quaeris miracula”.
La cosa non deve destar troppo stupore, il latino era materia da letterati e uomini di chiesa e il volgo lo recitava senza sapere in realtà cosa stava dicendo.
Testimonianze di questa usanza si possono riscontrare anche nella letteratura, uno tra tutti il libro “Libera nos a Malo” del vicentino Luigi Meneghello.
“Era molto potente presso di noi Sant’Antonio, persona ordinata e di buona memoria, che faceva trovare la roba a chi la perdeva.Occorreva peró un intermediario che conoscesse bene l’incantagione necessaria a farlo intervenire.
Si chiamava il SEQUÈRI. Mia zia Lena la conosceva benone: si aggirava per la stanza recitando “Secueri miracula” e tutto il testo, con intensa concentrazione e alla seconda o terza volta Sant’Antonio era costretto a tirar fuori deále (ditale), gùcia (ago) bucola (orecchini) o tacolin (portafoglio).”