LA BEATIFICAZIONE DI NAPOLEONE NELL’ITALIETTA CORROTTA.
Di Edoardo Rubini
Una risposta a Paolo Granzotto va data, dal momento che la domanda è rivolta a noi Veneti. Con la rivoluzione giacobina scoppiata in Francia nel 1789 si compì in Europa la rivoluzione liberale (oltre Atlantico aveva già portato alla nascita degli Stati Uniti d’America nel 1776).
La visione atea, materialista, progressista – “rivoluzionaria” in una parola sola – a lungo coltivata nelle logge massoniche e nelle società di pensiero, fu esportata in tutta Europa sulla punta delle baionette del Bonaparte.
In Spagna, in Germania e Austria, nel Veneto e in Italia, in Europa Centrale e in Russia, accaddero ovunque episodi come quelli che si vedono nel quadro. La “democrazia ideologica” in pratica si ridusse al rovesciamento del Trono e l’Altare in nome di una “libertà” che fu solo arbitrio e licenza.
Il sistema “liberal-democratico” distrusse il clero e la nobiltà, abrogò le tradizioni, le consuetudini, l’attaccamento alla propria terra, alla famiglia, alla Patria, alla Fede Cattolica; in una parola sola, portò poi alla creazione di uno Stato totalitario, che dietro dogmi ideologici come “libertà”, “uguaglianza”, “tolleranza”, “diritti umani”; “pluralismo religioso”, “Costituzione”, “legge scritta”, “scelte morali” in realtà impose il Regno del Male, un Nuovo Ordine dove chi detiene il potere di fatto, dato dal denaro detenuto in banca e dal controllo sulle istituzioni pubbliche, impone la sua volontà su tutto e tutti (persino su Dio, presumono loro).
Questa è la premessa.
La conseguenza è però un fatto su cui – nonostante l’evidenza – non si ragiona abbastanza.
Solo in Italia domina uno stato-canaglia del tutto staccato dalla generalità dei cittadini, dai loro valori, dai loro interessi, dalla loro vita normale, per dirla in breve.
Lo Stato che condanna a parecchi anni di prigione e a risarcire somme ingenti chi ha difeso se stesso da gentaglia entrata in casa sua per compiere reati e violenze, mentre foraggia campi di zingari malavitosi, dove lo si vede in tutto il mondo?
Solo nella banana republic, quella che sventola tricolori e canta Mameli.
Certo, ovunque esistono Stati arretrati con problemi di ordine pubblico e convivenza, esistono anche Stati dominati da dittature dove la gente soffre.
Tuttavia, di Stati che in modo così perfetto hanno messo il male al posto del bene e il bene al posto del male ce n’è solo uno: l’italetta.
Ecco perché, se nella banana republic si facesse un quadro come quello del Goya, sarebbe senz’altro per celebrare il “Benefattore dell’Umanità” Napoleone Bonaparte, immortalandolo mentre sta ripulendo terre dominate dall’arretratezza e dal pregiudizio cattolico. Il potere massonico che nell’italietta fa l’alto e il basso è ancora lì, dopo 200 anni, e si chiama frammassoneria, quelli che vogliono abrogare Dio per decreto. Dismessi grembiulini e guanti banchi sono sempre gli stessi, anzi sono sempre più forti perché sostenuti dai poteri mondialisti e dall’antipapa argentino.
A Venezia nel 2002 si sono spesi circa 500.000 euro per l’acquisto, il restauro, il trasporto e l’installazione di una statua ottocentesca dedicata al Bonaparte e la si è collocata nel punto aulico di Venezia, al Museo Correr, che il nobiluomo Teodoro Correr fondò ad inizio ‘800 per conservare le collezioni che illustravano la Civiltà veneziana.
Ancora ad ottobre 2015 alla Schola Granda di San Rocco si è tenuto un concerto celebrativo, pubblicizzato con manifesto affisso per la tutta la città, dove il boia della Veneta Serenissima Repubblica è ricordato come il “Massimo Trionfatore nel Tempo della Gloria”.
Questo fa impunemente lo stato-canaglia attraverso le istituzioni culturali pubbliche e private, da esso controllate direttamente o indirettamente.
Allora, per venire a capo della domanda posta da Granzotto “E come mai qui da noi nessuno ha riconosciuto lo stesso ideale eroico e patriottico a coloro che si opposero, a prezzo della vita, a Napoleone Bonaparte?” (nei territori della Veneta Serenissima Repubblica furono a decine di migliaia, dal 1796 al 1814, dalle vallate bergamasche a quelle veneto-friulane), si può rispondere che i Veneti hanno sempre mantenuto lo stesso ideale eroico e patriottico.
Eppure, un regime corrotto e amorale infligge loro umiliazioni “storico-culturali”, rapine fiscali, leggi inique, processi farsa dove i cittadini che si sono solo difesi in casa propria sono condannati a pene reclusive e a ristori risarcitori per delinquenti di tutte le risme, che lo stato non riesce a controllare e che cos’ facendo autorizza ad introdursi in casa altrui con le peggiori intenzioni (dopo aver fatto l’immancabile propaganda buonista dell’immigrazione e dell’accoglienza dei peggiori reietti espulsi dagli stati di mezzo mondo).
Tutto avanti grazie al lavaggio del cervello praticato attraverso l’orchestra mediatica e la cosiddetta scuola pubblica, saldamente in mano agli accoliti ideologici di chi deve a tutti i costi tenere in piedi questo sistema, sopprimendo ogni sussulto di autoconservazione di quel popolo martirizzato che il Goya rappresenta davanti al plotone di esecuzione.
Il popolo vuole votare un referendum per ridare la Sovranità legittima allo Stato Veneto e il regime risponde facendo le leggi contro “xenofobia e razzismo” e abolendo la Regione del Veneto.
Il regime – scomodando la Corte Costituzionale e invocando lo status di “uno e indivisibile” che si è attribuito nel 1948 – ha impedito persino che la gente voti per mettere fine a questa immonda situazione, dato che l’unica cosa possibile è costruire un nuovo Stato, basato su legalità e rispetto per i cittadini.
Allora, senti caro Granzotto, che cosa possiamo fare per riconoscere lo stesso ideale eroico e patriottico? O se vogliamo, per stare su un piano più concreto, per avere un sistema politico che promuova il bene, e non il male a discapito del bene, come fa da un secolo e mezzo il basso regime italiota?
Pare che le viene d’uscita rimaste siano due: il referendum o il kalashnikov.
Mi chiedo solo se siamo ancora in tempo per scegliere.
http://venetostoria.com/2015/10/10/il-mito-napoleonico-e-il-servilismo-degli-intellettuali-italioti/