DA FAR IMPARARE A MEMORIA AI GIUDICI ITALIANI CHE OPERANO IN VENETO
Da una nota di Oscar Marcato
Palazzo Ducale Sala dell’Avogaria de Comùn
Diritto Veneziano
Un’iscrizione spiega come i giudici nella Serenissima dovevano pervenire alla sentenza.
Per prima cosa indagate sempre con diligenza per sentenziare con giustizia e carità, non condannate nessuno in base a sospetti arbitrari, prima provate i fatti e solo dopo proferite un equo e veritiero giudizio; ciò che non volete sia fatto a voi non fatelo agli altri.
PRIMUM SEMPER ANTE OMNIA
DILIGENTER INQUIRITE: UT CUM JUSTITIA,
ET CHARITATE DIFFINIATIS: NEMINEM,
CONDEMNETIS ANTE VERUM, ET JUSTU
JUDICIUM; NULLUM JUDIDETIS SUSPITIO=
NIS ARBITRIO: SED PRIMUM PROBATE, ET
POSTEA CHARITATIVAM SENTENTIAM
PROFERTE: ET QUOD VOBIS NO VULTUIS
FIERI: ALTERI FACERE NOLITE.
NdR. La Giustizia veneziana era sempre raffigurata con la spada, perché aveva il compito di estirpare il crimine, ma senza benda negli occhi: il giudice doveva esser cosciente dell’effetto della sua sentenza. In altre parole se la norma andava contro il buon senso e il contro la “pietas” cristiana, non veniva applicata. E questo poteva essere parte del suo “arbitrium“(arbitrio di giudizio) riconosciuto non per favorire qualche potente, ma per amore della Giustizia con la Maiuscola. Quella vera, sconosciuta, a quanto vediamo in questi giorni, alla legge italiana, il cui codice è di derivazione francese (non a caso).