LA CATTURA DEL “LIBERATEUR D’ITALIE”, 20 APRILE 1797
Nella primavera del 1797 Venezia era insidiata da vicino, per terra e per mare. Tutti i Dominii dello Stado da Tera erano stati invasi dalle truppe francesi, lanciati all’inseguimento dei reggimenti austriaci in rotta. Il generale Bonaparte, approfittando della neutralità dichiarata dalla Serenissima, si era impadronito di tutte le sue più grandi Città e fortezze. I sudditi di San Marco erano drammaticamente esposti a ogni tipo di violenza, taglieggiati e derubati con arbitrarie confische.
Frequenti le sommosse popolari che si scatenarono contro l’occupante d’Oltralpe e contro i giacobini locali che facevano comunella con tutti coloro che volevano trar vantaggio dalla rovina della Repubblica. Si ebbero eccidi nelle vallate besciane, come pure in varie località venete. Anche Verona osò resistere a questo fiume in piena che dilagava spargendo ovunque i dettami della Rivoluzione del 1789. Solo pochi giorni prima della vicenda qui narrata, si combatté in quella città una battaglia poi passata alla storia con il nome di “Pasque Veronesi”. Bonaparte, in realtà, aveva fatto di tutto per cagionare l’incidente internazionale: egli cercava un qualsiasi contrasto violento che gli consentisse di dichiarare guerra alla pacifica Repubblica Veneta (con cui la Francia aveva buoni rapporti diplomatici).
Infatti, una volta invasi i territori veneti senza dichiarazione di guerra, non avrebbe potuto impadronirsene se non avesse neppure simulato lo stato di belligeranza. Così cominciò a proferire minacce e a dettare condizioni al Senato Veneto, agli Inquisitori di Stato e al Maggior Consiglio , dichiarando agli ambasciatori della Serenissima che “sarebbe stato per Venezia un nuovo Attila”.
Nell’Adriatico, allora comunemente chiamato “Golfo di Venezia”, i Francesi si facevano vedere da qualche tempo, dando la caccia a bastimenti austriaci ed inglesi, ma soprattutto recando continue molestie al naviglio veneto con fermi arbitrari, o interferendo nel pattugliamento operato dai vascelli da guerra, o contrastando la navigazione della flotta commerciale. Il Senato, perciò, provvide a richiamare in vigore l’antico Decreto della Repubblica, che disponeva il divieto assoluto d’ingresso nel porto ad ogni naviglio armato straniero. Allo stesso tempo raccomandava al “Provveditore alle lagune e ai Lidi” d’usare la massima vigilanza, visto l’aggirarsi di legni armati francesi nelle vicinanze della Città, autorizzando altresì l’uso della forza qualora un qualsiasi bastimento armato di qualunque nazione, volesse forzare l’ingresso del porto.
L’atto fu notificato in primis al ministro di Francia, Jean-Baptiste Lallement. Per tutta risposta Bonaparte dispose dal suo quartier generale che il cittadino Jean Baptiste Laugier, comandante del naviglio francese Liberateur d’Italie, si recasse nel golfo di Venezia al fine di “dar la caccia al naviglio austriaco ed inglese, e di far correre i suoi corsari contro le bandiere veneziane” . In ottemperanza all’ordine impartitogli, il comandante francese Laugier, comandante del naviglio francese Liberateur d’Italie, si recasse nel golfo di Venezia al fine di “dar la caccia al naviglio austriaco ed inglese, e di far correre i suoi corsari contro le bandiere veneziane” . In ottemperanza all’ordine impartitogli, il comandante francese Laugier, bloccò in mare aperto all’altezza di Caorle , una barca di pescatori chioggiotti.
Costrinse con la forza a salire a bordo un certo Menego Lombardo, vecchio di anni settanta, obbligandolo a fare da guida alla loro imbarcazione verso il porto di Venezia, poiché gli invasori non potevano conoscere i fondali e i canali. Gli promisero una grossa rimunerazione se avesse collaborato e lo minacciarono di morte qualora avesse rifiutato. Ecco che al tramonto del 20 Aprile, alla Bocca di Porto del Lido, si presentano davanti al Castello di Sant’ Andrea, tre bastimenti a vele gonfie. A questa vista il giovane “Deputato al Castello di Sant’Andrea, Lido porto e canali adiacenti” , N.H. Domenico Pizzamano ordina alla guarnigione di stare all’erta. Il Castello è ben fornito di artiglierie e munizioni, al suo interno vi sono 121 fanti della Milizia Veneta, 115 Oltremarini distribuiti nel Castello del Lido e nel “Seragio” , mentre tra l’isola della Certosa e Sant’Erasmo ve ne erano altri 739.
Davanti all’intimazione del Comandante Pizzamano di allontanarsi, due bastimenti del convoglio invertono la rotta. Il Liberateur d’Italie, invece, giunto a tiro dei cannoni del forte, spara sette–otto colpi a polvere . Subito due lance, per ordine del Sopracomito Bragadin, gli si parano di fianco per intimargli di retrocedere. Ricevono quindi un’arrogante risposta dal Laugier, comandante francese di questo tartanone , che è armato di 8 cannoni e porta a bordo 38 soldati, 4 passeggeri ed il pescatore chioggioto.
Il N.H. Pizzamano ordina di far fora tenda (alle armi), come previsto dal provvedimento del Senato (detto in veneziano Da mo’ ) datato 17 Aprile, che vietava l’ingresso in porto di legni esteri armati. Solo quando furono fatti due tiri di volata , il capitano francese decise di voltare bordo, ma oramai era troppo tardi. Forse per la mala manovra, o per la corrente dell’acqua che lo trascina, viene a contatto con le galeotte venete dei Capitani Alvise Viscovich e Malovich, che comandano la guardia dei Bocchesi, che tra l’altro vantava il titolo di Gonfalonieri .
Partono le prime cannonate e le scariche dei moschetti. Succede il finimondo, arrivano fucilate da tutte le parti, dal Lido, dai Castelli e perfino dalla Certosa. Il Laugier prende la tromba marina e comincia a gridare – sommessione, sommessione! – (mi arrendo) mentre l’equipaggio del Liberateur d’Italie, abbandona le manovre e si rifugia sotto coperta. Il tartanone senza più comando, va a seconda finendo prima sotto la batteria del Lido dove gli piovono addosso cannonate, colpi di moschetto e perfino palle di cannone lanciate a mano, poi a fianco alla galeotta del Viscovich.
Gli Oltremarini furibondi per le angherie e i maltrattamenti di recente subiti a Palmanova dall’invasore francese, abbordano il tartanone, palossi alla mano. Nella mischia furibonda che ne segue i Bocchesi passano a fil di spada quanti trovano sul ponte della nave, compreso il pescatore chioggiotto che urlava con quanto fiato avesse in gola d’esser Suddito Veneto. Accorse il Pizzamano e vedendo che i nemici stavano soccombendo all’assalto della galeotta, evitò una più grave carneficina ordinando al Viscovich di richiamare i suoi uomini; con non poca difficoltà si riesce a ristabilire l’ordine.
Il combattimento era durato circa 20-30 minuti. Con l’equipaggio francese prigioniero sotto coperta, il Liberateur viene preso in consegna dall’Alfiere Belglava e da 6 Bochesi della galeotta “Bella Chiaretta” del Capitano Viscovich. Bilancio: dei francesi cinque risultano morti (tra cui l’avventato capitano Laugier, colpito da una palla di moschetto) e otto i feriti. Il vecchio pescatore Menego Lombardo, morirà, successivamente al Hospitale de San Xani Polo , per le ferite riportate.
Il Pizzamano, fa un dettagliato rapporto al Proveditor alle Lagune e Lidi sui fatti occorsi nella giornata. In data 21 aprile il Senato decretò elogi speciali al Pizzamano e ai suoi soldati: “… Lodevoli pertanto le direzioni di quel vigile ed attento Deputato, diretto alla sola preservazione delle pubbliche massime, anche recentemente confermate, e gli usati destri modi ed insinuazioni verso l’armatore, affiche’ si allontanasse dai litorali, sara’ cura del predetto Proveditor alle Lagune e Lidi di manifestargli il pieno nostro aggradimento ed animarlo a proseguire con pari zelo e fervore nell’esercizio delle appoggiategli incombenze.
Niente meno gradita la benemerita opera prestata all’oggetto stesso dagl’indicati Ufficiali e valoroso equipaggio della galeotta del Capitano Viscovich, e volendo il Senato premiati gli uni e gli altri che esponendo ad aperto pericolo la propria vita prestarono distinto servigio, cosi interessante i più delicati riguardi nostri …. si autorizza il predetto Proveditor alle Lagune e Lidi di somministrar agli equipaggi stessi in aggiunta alla natural paga, l’importar della medesima d’un mese, ed assicurando agli Ufficiali della pubblica piena riconoscenza”.
Ma questo tributo d’onore restò in vigore per quei pochi giorni di libertà che la storia concedeva ancora ai Veneti. Il 3 maggio 1797 il sedicente liberatore Bonaparte – che nel frattempo aveva dichiarato guerra alla Repubblica Veneta – costringeva un governo ormai alla sua mercé a punire il Pizzamano, sicché gli Avocatori de Comun lo posero in militar custodia, per metterlo sotto processo. Una fine triste, ma incruenta nella sostanza, che consentirà al giovane nobiluomo ad uscire illeso da queste terribili vicende.
( da: 20 april 1797 el di del corajo, libro /fumetto)