LA CHIESA VENETA E LA “DEMOCRAZIA DIRETTA”
di Milo Boz Veneto
Oggi che si fa un gran parlare di questo sistema, invidiando la Svizzera in specie, perché in quel modo è governata, fa piacere scoprire che in molti ambiti la prassi delle decisioni prese tramite assemblee era una pratica comune anche da noi, persino nell’ambito ecclesiale, dove magari non te lo aspetteresti. Ma i Veneti erano fatti così, amavano un ruolo attivo nella gestione della società fino ad imporre la scelta dei parroci alle somme autorità ecclesiali. Ne parla in un suo saggio Vittorio Frajese, intitolato “Venezia e la chiesa durante i decenni galileiani”.
“Durante i secoli XV e XVI, l’organizzazione della diocesi veneziana era costituita da 70 parrocchie, governata da pievani eletti dalle comunità locali oppure servite da gruppi di chierici costituiti in capitoli o collegiate. Sul principio del ‘500, Gerolamo Querini aveva cercato di avocare le nomine dei pievani, ma il conflitto che ne era derivato si era risolto a favore di Venezia, così che Leone X aveva dovuto infine sanzionare la soluzione di fatto concedendo una bolla dove si riconosceva ai parrocchiani delle diverse contrade veneziane il diritto di designare i propri parroci…
Se questa era la situazione veneziana, il sistema delle elezioni comunitarie, magari col sistema del ballottaggio e della periodica conferma, era ancora presente, con notevole frequenza, in tutto il territorio veneto…Per comprendere il clima delle terre venete, basta ricordare come il seguente episodio riferito da Bolognetti (nunzio apostolico) fosse del tutto ordinario e largamente diffuso: durante la sua permanenza a Venezia, gli abitanti di Cittanuova, che prima pagavano le decime ai canonici della cattedrale, decisero di istituire un curato locale al quale conferire le decime.
Non solo la decisione fu convalidata da L’avogaria de Comun, ma il cardinale Valier, visitatore in Dalmazia, giudicò la consuetudine di eleggere i cardinali così radicata, da rendere più opportuno non estirparla del tutto, bensì correggerla stabilendo che gli abitanti di Cittànuova avessero la facoltà di presentare due cappellani, che però fossero perpetui e non amovibili (infatti in genere venivano sottoposti a nuove votazioni per il rinnovo, dopo qualche anno). Ma gli abitanti di Città nuova rifiutarono il compromesso”.
bibliografia
Galileo Galilei e la cultura veneziana (Ateneo Veneto) Galileo Galilei e la cultura veneziana.
Il sistema istituzionale veneziano, scaturito dopo il crollo dell’Impero Romano, deve molto all’organizzazione ecclesiastica: in certa misura riprende anche gli usi dei Veneti antichi. La Pieve, che raccoglieva la comunità per le funzioni religiose, era la medesima che poi si trovava a fare le discussioni politico-amministrative e giudiziarie. L’immagine di un capo indiscusso, simile ad un sovrano, che decidesse per tutti ha il sapore di una favola, scritta da chi nulla conosce della vita pubblica in quei tempi. Così anche i primi Dogi operarono all’aria aperta durante le assemblee dette “Arengo”. Stessa cosa avvenne con i tribuni, i capicomunità stanziati ed eletti in ogni isola. Il palazzo ducale solo gradualmente assorbì le funzioni di governo, a partire dal IX secolo, quando si cominciò a costruirlo, fino al 1.100 quando si costituì il Maggior Consiglio. Queste forme di “democrazia diretta” si reggono su principi ben diversi dal liberalismo odierno. Oggi si invoca la “democrazia diretta” per dare libero sfogo all’egoismo e all’individualismo, in contrapposizione ai poteri dello Stato (secondo l’impostazione di Hobbes, Locke e Rousseau). Allora, invece, la “democrazia diretta” che si esprimeva nell’Arengo aveva una forte impronta religiosa: erano forti valori trascenndeti a tenere unita la società, le assemblee si tenevano sotto il tiglio, l’albero sacro che richiamava la responsabilità degli uomini davanti a Dio, come ci ha insegnato lo studioso sloveno dei Veneti antichi, il prof. Jozko Savli.