LA CURA DEL ‘MAL FRANCIOSO’ (sifilide) NELLO STATO VENETO
Di Nelli-Elena Vanzan Marchini
Da “Venezia, luoghi di paure e voluttà” ed. della laguna
Per contrastare il morbo gallico si impiegò il mercurio con cui venivano fatti empiastri ed unguenti, la loro applicazione veniva resa più efficace dalle fumigazioni che potevano avvenire mediante i vapori nelle camere sudarie o in apposite botti, con un foro per far fuoriuscire la testa del paziente … al di sotto del quale ardeva un braciere con cinabro, sostanze infiammabili o legna resinosa.
Qualche giorno di questo trattamento procurava stomatite, traspirazione scialorrea che erano interpretate come i primi segni dell’espulsione del veleno attraverso la sudorazione e la saliva, se non si sospendeva presto la cura si rischiava l’avvelenamento con esiti letali. Il controllo delle fumigazioni praticate in equivoci bagni pubblici, chiamati stufe ricadde sotto i Provveditori alla Sanità, che verificarono fin dal 1498 la qualità degli oli impiegati, vietando il commercio di quelli “tristi e di pessima sorte” addirittura impiegati su più persone.
Nel 1517 fu importato in Italia attraverso la Spagna il guaiaco o legno santo, che fu diffuso per la cura appunto della sifilide, e fece la fortuna di importatori e banchieri. Era somministrato in decotto, associato a diete e purganti, e faceva sudare copiosamente (così si pensava si espellessero ‘ i cattivi unori’), ma in realtà i suoi effeti erano debilitanti e deleteri.
Insomma ne uccideva di più la medicina … che la malattia (nota di chi scrive)