la demonizzazione dell’Italia preunitaria – le Insorgenze.
MASSIMO DE LEONARDIS
La difesa della memoria storica delle Insorgenze non è tuttavia solo una battaglia da combattere nell’interesse del cattolicesimo, è un doveredi qualunque italiano ed europeo che non voglia perdere la sua identità e con essa la sua libertà. Uno dei temi più dibattuti in Italia negli ultimi anni, in seguito al crollo della «prima» repubblica, al parto difficile della «seconda» e alla nascita di movimenti «separatisti», è quello della identità nazionale, dell’esistenza o meno di una Patria italiana, dei suoi fondamenti.
Vengono così al pettine nodi ultrasecolari, che risalgono alla «leggenda nera» costruita a partire dal XVI secolo dai protestanti contro tutto quanto era cattolico («papista», secondo il loro gergo). Fino a quell’epoca l’Italia era giustamente considerata all’avanguardia in ogni campo, tanto da far esclamare a Erasmo da Rotterdam: «Italiani siamo noi tutti che siam dotti». Ma ecco nel ‘700 Samuel Johnson (dominatore delle lettere inglesi, tanto da essere sempre citato come il «Dottor» Johnson per antonomasia) scrivere: «Un uomo che non è stato in Italia sarà sempre consapevole della propria inferiorità»[5].
Che cos’era accaduto? La riforma protestante aveva trovato le porte sbarrate soprattutto in Italia e in Spagna, i due Paesi pilastri della Controriforma, e contro quei due popoli (in tempi e con intensità diversi, perché la potenza della Spagna imperiale degli Asburgo non consentiva simili offese) fu scagliata una campagna denigratoria per denunciarne e irriderne il «fanatismo» cattolico e imputare a esso tutti i loro mali, veri o presunti. Ancora oggi una vasta pubblicistica istruisce gli italiani sul fatto che le loro disgrazie derivano dal papato, dalla mancanza di una riforma protestante e dalla Controriforma.
Ecco che cosa scrive il principe del giornalismo e della divulgazione storica in Italia: «La trionfante Controriforma aveva tolto agli italiani questa difesa [di una coscienza individuale consapevole dei propri diritti e doveri, ndr], e li rendeva disponibili a tutto. È da questo momento infatti che si sviluppa nel nostro popolo la propensione ai mestieri “servili” in cui tuttora gl’italiani eccellono. Essi sono i migliori camerieri del mondo, i migliori maggiordomi, i migliori portieri d’albergo, i migliori lustrascarpe, perché cominciarono a esserlo fin da allora, quattro secoli fa»[6].
È curioso però che la lingua di questi «servi» fosse la lingua elegante dell’aristocrazia internazionale (anche in Boemia nel ‘600 l’italiano prevaleva sul francese e sul tedesco); che nel secolo XIX, alla vigilia del Risorgimento, fosse ancora la lingua franca della cultura europea e venisse parlata o compresa da molti statisti di Londra e di Vienna, che si parlasse italiano a Malta e a Nizza, in Corsica e in Dalmazia. L’italiano era molto più diffuso nel mondo prima della costituzione dello Stato unitario, nonostante i successivi sforzi per difenderlo della massonica Società Dante Alighieri.