I VENETI ERANO ONESTI MERCANTI, ECCO LA CHIAVE.
di Milo Boz e Zorzi Levorato Veneto
Me lo ha rimarcato ieri l’amico Zorzi, abituato come sempre, a cogliere l’essenza profonda delle cose. Valeva soprattutto per i veneziani, che trovavano nello scambio il loro modo di mantenere viva la loro città, prima, il loro stato, poi. Quindi di norma, non imponevano nulla, contrattavano, cercavano di salvare il loro mercato, la loro base commerciale, e quindi questo implicava un gran rispetto dell’identità altrui, fosse una comunità della Terraferma, fosse un ortodosso slavo o greco, o anche un turco.
Il discorso era questo, in terraferma: riconosco i tuoi statuti, le tue leggi interne, la tua parlata particolare, e non solo… ti compero il legname dei boschi, la tua lana, vendo in giro per il mondo i tuoi prodotti, ti garantisco una giustizia equa ed imparziale, dei giudici e dei Rettori non ladri e in cambio tu mi terrai aperte le strade per il resto dell’Europa; grande pragmatismo mercantile, un ‘do ut des’ che era ammantato anche di spirito evangelico, privo però di quel clericalesimo arido che alimentò i conflitti e l’inquisizione in tanti altri paesi europei.
Da noi nulla di tutto questo: se gli stati veneti si reggevano anche sul culto di San Marco Evengelista, quel pugno di mercanti patrizi che li governava (cinquecento anni di storia senza rivolte) sapeva che doveva ogni giorno rendere grazie a Dio delle sue fortune. Il loro non era un capitalismo arido, volto solo all’arricchimento delle loro famiglie, ma si giustificava se era rivolto anche al sollievo delle classi più umili, ai poveri, agli ammalati.
Quindi ecco il nascere dell ‘scole’ grandi e piccole che promuovevano, oltre alla tutela dei propri membri, grandi opere di carità o la costruzione di magnifiche chiese ed edifici per il ricovero dei bisognosi. E questo impulso era presente anche nel resto dello stato veneto. Anche i nobili e i mercanti non veneziani, in una società allora profondamente religiosa, non volevano essere da meno della classe dirigente veneziana.
E a ben guardare lo spirito commerciale pragmatico era lo stesso dei paleo veneti che li avevano preceduti duemila anni prima. anch’essi ugualmente dei mercanti, vendevano i loro cavalli persino in Sicilia, in cui pare avessero una base commerciale, e poi usando le strade romane, spedivano le loro carovane cariche di stoffe (anche allora il manifattutiero la faceva da padrone), fino a Roma e da lì, dio solo sa in quali altri posti del Mediterraneo. Non amavano la guerra di conquista, i venetici, ma sapevano difendersi con grande valore e seppero convertire alla loro filosofia di vita persino i Galli Cenomani, che si ritrovarono in casa, in quel di Verona. Ci convissero pacificamente, li ebbero come alleati, e fino poi a fondersi in maniera indistinta. Provate oggi a spiegare a un veronese che non è veneto di di discendenza … 😉 .. magari a un Moreno Menini, ‘il ragazzo del campanil’ …
Insomma, senza false modestie, un continuum storico lungo 3200 anni, che invano cercano di negare, cercando di fare anche di noi ‘un bollito misto’ italiota, dalla sciagurata unità in poi.