LA DIFESA DI FAMAGOSTA
di Andrew Calzavara
La difesa di Famagosta fu una della pagine più epiche mai scritte della storia dalle armi Veneziane, i difensori della fortezza, il veneziano Marcantonio Bragadin, prefetto civile, e il perugino Astorre Baglioni capitano di ventura, ingegnere militare e comandante delle truppe cittadine, (passato al servizio di Venezia, il quale partecipava alla supervisione delle opere di fortificazione degli stati veneti, e successivamente venne nominato governatore di Nicosia), tennero la più gloriosa resistenza contro un esercito ottomano al massimo della sua espansione, l’assedio durò quasi un anno, dal 22 agosto al 4 agosto 1571 facendo pagare alla Sublime Porta un prezzo sproporzionato per una vittoria amara.
Ma la loro sorte fu terribile, indicibile addirittura quella di Bragadin.
Astorre Baglioni si distinse per abilità tattica e strategica, rendendo l’assedio un vero e proprio incubo per gli oppugnanti: rinforzò le difese famagostane, ideò stratagemmi e tattiche (come i famosi «gattoli», trincee tortuose al riparo delle quali i guastatori potevano «sgattaiolare» e portare offesa agli attaccanti), fu maestro nella guerra delle mine, portando a segno numerosi colpi contro le gallerie scavate dai turchi sotto le mura cittadine. Con le sue sortite temerarie inflisse perdite sanguinose al nemico, e cocenti umiliazioni, come quando sottrasse ai tracotanti turchi il gonfalone di Nicosia, trofeo che i nemici sventolavano orgogliosamente in faccia ai difensori di Famagosta, credendo così di deprimerne il morale.
Quando una flotta veneziana di rinforzo salpò da Cipro, Baglioni fa credere al nemico di aver evacuato Famagosta su quelle navi: i turchi s’avvicinarono alla città in formazione di parata, senza precauzioni, ma furono accolti da un’imboscata tesa dai duemila Veneziani, quattromila stradiotti greci e albanesi e dagli altri volontari ciprioti al comando di Astorre, che inflissero alle avanguardie turche 2.500 morti, oltre ad una dura lezione di prudenza ed umiltà. Ma l’esercito ottomano crebbe rapidamente di numero, fino a sfiorare (alcuni dicono anche a superare) le 200 mila unità, con oltre centodieci bocche da fuoco.
Baglioni fece allora avvelenare i pozzi attorno alla città, per privare gli assedianti d’acqua potabile, fa cospargere il terreno di triboli (ricci di ferro per ferire i piedi dei fanti e le zampe dei quadrupedi) e piazza il suo alloggio nel bastione di Santa Nappa, da dove può dirigere con precisione il tiro delle artiglierie. I turchi pagano ogni assalto alle mura ed ogni sortita della cavalleria veneziana con decine di migliaia di morti: cifre da Prima Guerra Mondiale, se è vero che in soli 10 giorni almeno 30 mila fra fanti e guastatori turchi arrossarono la terra di Famagosta con il loro sangue. Comandante civile e politico assieme a Baglioni fu l’eroico Marcantonio Bragadin: uomo di rare virtù e coraggio, riuscì a galvanizzare la popolazione cittadina greca ed a gestire le magre risorse durante tutto l’assedio, dimostrandosi anche soldato valoroso ed implacabile.
Il 31 luglio 1571 gli esausti difensori respingono il quinto assalto generale: sono rimasti ormai meno di cinquecento uomini validi e la popolazione è alla fame. Il comandante dei turchi, l’arabo Lala Mustafà, rende note a Bragadin condizioni di resa estremamente vantaggiose: salva la vita e le proprietà di tutti, evacuazione a Candia di chi avesse desiderato e libertà di culto per chi fosse rimasto. Bragadin è titubante: vorrebbe respingere l’offerta, ma le delegazioni dei cittadini disperati lo scongiurano di accettare. Vorrebbe anche tentare un’ultima sortita (appiedata, giacchè i cavalli sono già stati tutti macellati per nutrire soldati e civili) e morire combattendo, ma i cittadini gli fanno notare che questo renderebbe furioso il turco, che si sfogherebbe poi sui civili inermi. Bragadin sa quale sorte sia toccata a Nicosia dopo la resa (20 mila persone sterminate nei metodi più orrendi, le donne che si gettavano dai tetti pur di non cadere in mano ai vincitori, duemila bambini e ragazze inviati nel mercato degli schiavi del sesso di Costantinopoli).
Ma, a malincuore, accetta. In gran pompa la delegazione dei capitani Serenissimi esce dalle mura in rovina e si reca alla tenda del Pascià per consegnare le chiavi della città. Lala Mustafà finge cortesia per tre giorni, poi con un pretesto fa arrestare tutta la guarnigione cristiana.
Il comandante turco è infatti furibondo: ha impiegato oltre 11 mesi per piegare la resistenza, ha perduto quasi 80 mila uomini, fra cui il suo primogenito. Quando si rende conto all’esiguità dei difensori, la furia, la frustrazione e il senso di inferiorità lo accecano. Fa impiccare Astorre Baglioni e gli altri capitani italiani, Lorenzo Tiepolo, Gianantonio Querini, e Alvise Martinengo (quest’ultimo impiccato tre volte per prolungarne l’agonia) e il capitano greco-cipriota Manoli Spilioti, esponendo le loro teste infisse su picche, mentre per il superbo Bragadin medita una fine ancor più agghiacciante.
Non scriveremo qui per l’ennesima volta il calvario affrontato da Bragadin. In questo stesso sito è già stato descritto (clicca qui). Ci limitiamo ad osservare che egli rifiuto la conversione all’Islam, che gli avrebbe salvato la vita. Stranamente non è mai stata proposta una sua canonizzazione per questo fatto, sebbene la Chiesa abbia elevato spesso agli altari chi difese la fede con la vita.
L’infingardia di Lala Mustafà fu tale che egli dovette giustificarsi davanti al suo superiore Pertev Pascià, che si sentiva disonorato dal comportamento del suo generale.
In occidente il martirio di Bragadin infuocò gli animi e fu tra i motivi che spinsero le flotte Veneziane con a comando il futuro Doge Sebastiano Venier, con la coalizione delle flotte cristiane, a battersi come leoni fino alla vittoria della battaglia di Lepanto, due mesi dopo.
non riesco a capire lo scopo della riminiscenza: celebrare le virtù del popolo veneto? sapete che dallo stato italiano non siamo neppure considerati un popolo? che gli undici secoli di storia veneta non possono costituire materia di insegnamento pubblico? che la TV di stato non può neppure trasmettere le commedie di Carlo Goldoni nella loro versione originale? Per affermare e difendere la nostra identità ci vuole ben altro che le celebrazioni nostalgiche.
Caro Andrea, sono completamente daccordo sulle tue posizioni, ma vedi, tanti Veneti e Veneziani che vogliono l’indipendenza non sanno nemmeno da che parte vengono, le loro radici le hanno lasciate per abbracciare altri ideali che non fanno parte della loro storia, detto questo io vedo lo scopo della riminescenza, come una rievocazione storica che può servire a recuperare la voglia di credere negli altri e l’amor patrio; che al giorno d’oggi stava completamente sparendo.
Parlo personalmente; sapere da dove venivo e sapere cosa facevano i miei antenati per la loro patria, ha portato in me un senso di orgoglio nostalgico, e mai accetterò di vedere lo schifo che si sta compiendo nei confronti della MIA patria.
Saluti