di Rina Barnabò
L’acqua è alla base di moltissimi miti e credenze, per questo motivo alle sue personificazioni, cioè alle entità che la rappresentavano, gli antichi si rivolgevano spesso per ottenere la grazia della guarigione. Nelle sorgenti fatte oggetto di culto erano adorate le divinità in quanto personificazione degli effetti benefici desiderati. Solo dove l’acqua sgorga ed è più pura, la divinità si manifesta ed elegge il luogo a propria dimora. Gli antichi abitanti del Cadore scelsero Làgole come sede di un santuario, la cui esistenza è confermata dai numerosi ex voto rinvenuti. Làgole era un luogo di culto paleoveneto molto importante, ma il problema dell’identificazione della divinità adorata è tuttora irrisolto. A partire dal IV secolo a.C. attorno alla sorgente di Làgole incominciarono a riunirsi periodicamente gli abitanti dei villaggi vicini; in una iscrizione lagoliana compare la parola venetica “Teuta” che significa comunità e questo conferma il carattere “federale” del santuario.
Dalle iscrizioni riportate sugli ex voto si desume che la divinità adorata fosse chiamata Trumusjate o Tribusjate accompagnata dall’appellativo Sainate.
sacerdotessa orante con le braccia aperte, il copricapo a punta simile al corno dogale
Non è stata trovata un’immagine raffigurante la divinità in questione, ma il rinvenimento di una placchetta con tre teste apre l’ipotesi che possa trattarsi di una entità triforme, probabilmente simile all’Ecate-Diana della religione greco-latina. Quest’ipotesi è avvallata anche dalla considerazione che il Tru/tri contenuto nel nome, possa corrispondere al numerale tre. Il Marinetti interpreta la radice tru come quattro, musio come umido, ati come suffisso indicante appartenenza, ottenendo quindi una traduzione del tipo “luogo dei quattro laghetti”. Trumusjate sarebbe quindi la “divinità del luogo dai molti specchi d’acqua”. Il culto era legato al consumo rituale delle acque della sorgente e la divinità era probabilmente una dea sanante, però l’aggettivo “sainate” potrebbe anche essere di genere maschile.
ricostruzione di un antico casone paleoveneto
Dai reperti si possono anche dedurre le grazie richieste alla divinità: l’abbondanza di statuette itifalliche e di corna di cervo e montone fanno pensare alla fecondità e le numerose rappresentazioni di soldati e di parti del corpo lasciano dedurre che a Trumusjate si rivolgessero anche soldati e malati. La maggior parte degli studiosi propende per un’identificazione della divinità di Lagole con un’Ecate triforme (luna in cielo), Diana in Ecate era considerata la luna nera, simbolo di morte, ma anche punto in cui tutto rifluisce per prepararsi a rinascere, essa era inoltre una divinità legata al mondo del soprannaturale degli spiriti e degli incantesimi: per questa ragione le erano sacri i crocevia.
ECATE, una e trina… concetto che passerà poi nella rappresentazione del Dio cristiano
Ecate finì per essere associata al mondo degli inferi, assumendo connotati negativi che prima non aveva; diventò la dea della stregoneria e regina delle tenebre. Ecate fu poi confusa con Cerere e Cibele; quest’ultima corrisponde alla Demetra frigia e Strabone, che era nato in Anatolia, ci testimonia la devozione dei Paflagoni. Il culto principale dell’Anatolia era quello della Grande Madre chiamata Kybele, che significa “montagna” ed era la personificazione di tutte le energie riproduttive della natura; viveva nelle grotte dalle quali sgorgavano le sorgenti ed era anche chiamata “Agdistis”. Lo studioso M.S. Beeler è propenso ad identificare la divinità di Lagole con un celtico Katius; egli, infatti, invece di Ikatei o Iatei legge Katei, cioè Katus. L’ipotesi è interessante anche per la derivazione del nome Cadore da Katubrium: Katu-briga sarebbe in questo caso la montagna del dio Katus, divinità celtica delle battaglie.
A sostegno dell’ipotesi del Beeler sarebbero le numerose statuette di guerrieri ritrovate nel sito di Làgole. I Celti ponevano tutte le sorgenti sacre sotto la protezione della Triplice Dea Madre e identificavano la luna con la triplice dea che presiede alla nascita, alla vita ed alla morte. Il numero tre presso i Celti era simbolo di forza e perfezione. In diversi reperti venuti alla luce nelle Gallie è rappresentalo un dio con tre teste o tre facce il cui nome ci è purtroppo sconosciuto. La tricefalia è un’espressione dell’onniveggenza divina e sarà poi assimilata da Mercurio che, in epoca romana, sostituì la divinità celtica antropomorfa Teutates, simile a Marte.
Ecate, molto simile alla nostra Reitia (Pora) che si accompagnava però a un lupo e a un volatile
La principale divinità dei Paleoveneti è Reitia, conosciuta anche con il nome di Pora, il cui santuario principale si trova ad Este. Fra i suoi attributi più interessanti vi è quello di Triavi, ossia triplice, trina, che crea, conserva e distrugge e l’epiteto sainante. Le somiglianze con Ecate è con Trumusjate sono molte. In epoca romana a Lagole era venerato Apollo, corrispondente al celtico dio Belo o Beleno. Come afferma il De Lotto, l’evoluzione di una divinità femminile ad una divinità maschile è un fenomeno che occorre e si spiega in altri luoghi, per esempio a Delfi, dove all’originale dea si sostituì Apollo. Il culto di Apollo in Veneto fiorì a partire dal II secolo a.C.. Il suo ambiente originario era l’Asia Minore e l’epiteto omerico di Apollo “Hecatos” richiama il nome della dea caria Ecate. Anche ad Aquileia Apollo si sovrappose a Beleno e fu chiamato Apollo Beleno. Il dio venerato dai Veneti si manifestava presso le sorgenti ed era preposto anche alla salute, da cui gli aggettivi salutaris e salutifer, riferiti anche ad Eracle, che difendeva le sorgenti permettendo alle acque salutifere di scaturire. Eracle fu una delle pochissime divinità greche introdotte nel pantheon veneto prima della romanizzazione e il suo culto doveva essere presente anche a Lagole, dove fu ritrovato un bronzetto che lo raffigura.
Il ritrovamento d’immagini di cavalli potrebbe far pensare anche al culto di Diomede, eroe al quale erano sacrificati cavalli; i bronzetti potrebbero essere dei “surrogati” di cavalli veri, usanza diffusa in tutto il Veneto. Gli Indoeuropei attribuivano al cavallo un potere religioso sulle fonti, sulla fecondità e sulle forze sotterranee. Il pieno sviluppo dei santuari paleoveneti si situa tra il IV e il II secolo a.C. In tutti gli scavi effettuati non si è trovata traccia materiale di questi santuari, probabilmente perché i Paleoveneti non erano grandi costruttori ed usavano per lo più materiali come il legno, facilmente deperibili. Il culto delle acque dimostra un’impressionante continuità: nessuna rivoluzione religiosa riuscì ad abolirlo ed esso finì per essere tollerato e adottato anche dal Cristianesimo, come prova il rito del battesimo e i numerosi santuari sorti attorno a una fonte miracolosa, anche in epoca recente, come a Lourdes. A Làgole non subentra alcun culto cristiano, ma il luogo resta molto frequentato per le proprietà terapeutiche delle sue acque. Si è tentato di fare un collegamento con le chiese delle vicinanze, dedicate ad esempio a S.Biagio protettore dei malati di gola o a S.Anna, protettrice delle pregnanti e dei neonati, ma pare che tali ipotesi siano nate più dal desiderio di dare una continuità del culto di Lagole che da una reale evoluzione dello stesso.
PUBBLICATO DA LUIGI PELLINI
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