Già ce ne siamo occupati, ma abbiamo trovato un sito istriano in lingua italiana che ne parla in maniera dettagliata, spiegando che fu pronunziato in croato. Io non sono esperto, mi han detto tempo fa che in zona parlano un dialetto affine al serbo, ma non importa, importa il fatto che in lingua veneta (veneziana) fu poi tradotto, come anche in italiano, in modo da dare una maggiore risonanza a quel fatto straordinario (essendo entrambe, ancora all’epoca, due lingue internazionali, con buona pace di chi ci spiega oggi che parliamo “un dialetto” quando usiamo il veneto).
La lingua utilizzata da Viscovich
Il 23 agosto del 1797, i cittadini di Perasto (oggi in Montenegro, è stato l’ultimo territorio fedele alla Serenissima) si radunarono per seppellire il gonfalone della Serenissima sotto l’altar maggiore della loro chiesa parrocchiale. Davanti ad una folla inginocchiata, il Capitano di Perasto Giuseppe Viscovich tenne un discorso commovente: il Giuramento di Perasto, altrimenti conosciuto come Ti co nu, nu co Ti
Il celebre discorso non fu pronunciato ne in italiano ne in veneto ma in lingua illirica e di esso sono state fatte varie traduzioni sia in veneto che in italiano in modo da dar maggior risonanza sia all’evento che al suo sincero e sentito messaggio affinché questo commiato non rimanesse un evento locale ma venisse trasmesso alle genti d’Italia e dell’Europa.
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LA “MARINAREZZA” di Perasto |
Questo è riferito sia dai documenti conservati nell’Archivio della chiesa parrocchiale di San Nicola di Perasto che riflesso anche nella “Storia di Perasto”, scritta da Francesco Viscovich, nipote del conte GiuseppeViscovich, autore del discorso in oggetto. L’opera venne pubblicata a trieste nel 1898, Francesco Viscovich, nel rimarcare per “istorica verità” quanto sopra detto trascrive nella sua opera il testo originale e la traduzione italiana anteponendovi le seguenti parole: “…credo necessario di pubblicarlo per esteso in omaggio ad una istorica verità, e per rammentare ancora una volta, acciocché non vada in dimenticanza un fatto che altamente onora il sentimento leale dei nostri proavi verso il legittimo Sovrano, ed illustra splendidamente la nostra storia, perché è più unico che raro l’esempio d’un popolo che tributa omaggio ad un governo caduto, e del quale non spera più ne onori, ne premi, ne ricompense”.
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nel 2010 le bandiere del Montenegro, di Perasto, e della Serenissima |
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Il fatto che il discorso venne detto spontaneamente ed in croato, lingua in uso della popolazione autoctona di Perasto probabilmente scontenta in primis i nazionalisti croati sempre impegnati a sostegno delle loro tesi a denigrare in ogni modo il periodo veneziano.
Questa celebre locuzione venne prontamente tradotta, per maggior diffusione, in veneto e poi in italiano affinché potesse essere divulgata alle genti d’Europa. È giunto a noi, essendo conservato in varie biblioteche di Venezia, un estratto di un periodico privo di frontespizio, portante il n. CXXIV, uscito nel mese di Ottombre del 1797 nel quale si fa accenno alla suddetta locuzione in veneto allegandodovi il suo testo.
Prestando dunque fede alla data del periodico (Ottobre 1797) vediamo che la traduzione in veneto (veneziano) è praticamente contemporanea e non come credevasi ascrivibile alla N. D. Giustina Renier Michiel che nella sua opera “Origine delle Feste Veneziane” (stampata nel 1817 in francese e 1829 in italiano) riportandone il testo da maggior diffusione di quanto ebbe dalle copie dell’anonimo periodico. Tra le varie traduzioni in italiano la più celebre è quella proposta da Cesare Cantù inclusa nella sua “Della letteratura italiana” (stampata nel 1865). Questa probabilmente attinse dall’opera del canonico co: Vincenzo Ballovich:“Notizie intorno alla miracolosa immagine di Maria Vergine Santissima detta dello Scarpello e del suo celebre Santuario, Venezia (1823) seconda edizione.
Nel 2014 un rgt storico veneto, fu invitato dai perastini, a rinnovare il patto di fratellanza tra due Nazioni unite nella Memoria condivisa, quella veneta veneziana, comune ad entrambe.
in croato ?? mahh.
Forse nella parlata dell’epoca che univa ad uno slavo di base una luna messe di latinismi (veneziani-pugliesi-dalmatici), come ha dimostrato, circa 200 anni dopo Vesna Radulovic nel testo “Romanismi lessicali in Montenegro” , riferendosi propio alle Bocche di Càttaro.