Fin dal 1812 questa singolare scultura lignea del Cristo in Croce si conserva nell’abside del Santuario di S. Domenico.
Il simulacro misura m. 4,87 in altezza e m. 3,50 in larghezza e domina, per la sua imponenza e la sua forza espressiva, l’interno della vasta aula domenicana.
La Croce ha la forma di un tronco nodoso, con i bracci sottili ricurvi.
Alla sommità un pellicano (era il simbolo della Confraternita dei “Picai”, ossia dei Confratelli che assistevano i condannati a morte nella Repubblica Veneta) sovrasta un cartiglio a sfondo vermiglio che recita in caratteri longobardi il dramma di quel sacrificio.
Il pellicano, nella simbologia religiosa, ha un preciso significato: rappresenta il sacrificio del Cristo che si è immolato sulla croce per redimere i peccati dell’umanità e salvare gli uomini, al pari del pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli.
Di certo rappresenta l’icona più suggestiva e misteriosa presente nella città ed anche la più cara e venerata soprattutto dai pescatori.
Singolare ed inquietante il contrasto fra la perfezione formale del capo reclinato del Cristo sofferente e la grezza struttura del corpo, estremamente stilizzato, privo di proporzioni, dall’impronta espressionistica.
La critica rivendica il sofferto tormento espresso dal volto alla scuola renana, mentre il trattamento sommario e scheletrico delle membra a quella strasburghese.
Anche l’analisi del legno avvalla la sua origine germanica.
La simbologia della Croce alluderebbe ad un albero di vita che paradossalmente sostiene il corpo di un condannato alla pena capitale.
Duplice e ancora una volta sconcertante risulta l’approccio visivo che si coglie dal basso: se osservato da destra, il volto manifesta la Passione di un Cristo ancora in agonia, con gli occhi socchiusi e con la bocca aperta; da sinistra, invece, appare rasserenato nel riposo della morte.