LE INSORGENZE NON RIGUARDARONO SOLO VERONA
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Il numero di aprile-giugno 1998 della rivista trimestrale Studi Storici, organo dell’Istituto Gramsci di Roma, è interamente dedicato a Le insorgenze popolari nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica
Lo studioso vicentino Paolo Preto – professore ordinario di Storia Moderna nell’università di Padova – ricostruisce in Le valli bergamasche e bresciane fra democratizzazione e rivolta antigiacobina (pp. 349-366) gli avvenimenti del 1797 nelle province venete più occidentali, dalla dichiarazione di neutralità del governo veneziano e dalla sollevazione di nuclei giacobini prima a Bergamo e poi a Brescia – entrambe «democratizzate» con la forza -, all’invasione francese del territorio della Repubblica di Venezia, ai soprusi dell’occupazione e alla forzata inerzia delle truppe di San Marco, alla montante collera dei contadini, che esplode nel marzo 1797.
In quel mese le Valli bergamasche – Seriana, Cavallina, Gandino e altre – e quelle bresciane – Camonica, Trompia e Sabbia -, unitamente alle popolazioni della riviera gardesana occidentale – in particolare della zona di Salò, un tempo indipendente -, dopo solenni giuramenti formulati nel corso delle tradizionali assemblee comunitarie, si sollevano coralmente contro le città «rivoluzionate» fino a scontrarsi con le neonate milizie «italiche» e con i francesi, dopo avere coltivato inizialmente l’ingenua illusione di regolare i conti con i giacobini nella neutralità dell’esercito occupante.
Fa parte del quadro anche la cruda repressione perpetrata dalle truppe franco-bresciane – rinforzate da volontari accorsi da altre città italiane, come per esempio Pavia, di recente «democratizzate» – contro i contadini insorti: oltre al cannoneggiamento di Salò dalla parte del lago, vi furono, come rappresaglia, il saccheggio e l’incendio di diversi borghi della montagna bresciana, quali Nozza, Vestone, Barghe e Lavenone. Nel saggio, che offre una ricca bibliografia, rimangono in ombra i moventi religiosi dell’insurrezione, mentre, fra le cause, viene dato il massimo risalto al legittimismo e alla difesa degli statuti locali da parte delle comunità rurali, preoccupate di perdere autonomia di fronte al nuovo regime a prevalente base cittadina.
Nel finale Preto, ampliando la visuale all’insieme dei territori veneti, ritiene di diluire ulteriormente la caratterizzazione ideologica dell’insorgenza studiata, ponendo l’accento sulla cronicità dei tumulti a sfondo annonario, antifeudali e contro il governo verificatisi nelle province venete nel corso del Settecento, ma non sottovaluta il carattere politico dei moti del 1797: le popolazioni, scrive, «[…] questa volta non tumultuano per la fame ma per difendere le loro autonomie» (p. 365), ovvero l’antico regime nel quale hanno vissuto per secoli.