LE PASQUE VERONESI
adattamento da un testo del Comitato per la Celebrazione delle Pasque Veronesi
Col nome di Pasque Veronesi, per analogia con i Vespri Siciliani, fu chiamata l’insurrezione generale della città di Verona e del suo contado, scoppiata il 17 aprile 1797, Lunedì dell’Angelo. Tra le innumerevoli insorgenze che, dal 1796 al 1814, costellarono l’Italia e l’Europa occupate da Bonaparte e che esprimevano il rigetto da parte delle popolazioni dei falsi princìpi della Rivoluzione Francese, imposti con le baionette, la sollevazione di Verona è certamente la più importante in Italia, dopo la Crociata della Santa Fede del 1799, con la quale il Cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria e i contadini del Mezzogiorno riconquistarono un intero Regno ai Borboni di Napoli.
1 – Verona e la Serenissima prima della Rivoluzione
Dopo aver ucciso il proprio legittimo Sovrano, Luigi XVI, sterminata la sua famiglia e fatto perire nel carcere della Torre del Tempio il Delfino all’età di dieci anni, abbattuta la Monarchia, perseguitati il culto e la religione cattolica, la Francia rivoluzionaria, già ubriaca dei massacri del Terrore, si avventura in una serie di guerre con le altre Potenze europee. Le orde rivoluzionarie, guidate dalle sette anticlericali più tenebrose, prima fra tutte dalla Massoneria, sono ansiose di esportare in tutto il mondo l’odio contro la Chiesa e di rovesciare le tradizionali Istituzioni sacrali, sia civili che religiose, alle quali i popoli erano attaccatissimi.
Gli Stati italiani e la Repubblica aristocratica di Venezia conoscevano purtroppo allora una triste decadenza morale: gran parte del patriziato, ombra di quello che aveva affrontato e vinto tante volte il Turco, era infiltrato dai princìpi libertari e libertini della Rivoluzione Francese; indifferente alla religione, imborghesito, disinteressato del bene pubblico, spessissimo affiliato a logge massoniche, nelle quali si contavano moltissimi professionisti ed anche sacerdoti e vescovi.
Solo il popolo e buona parte del clero (specie basso) erano rimasti refrattari alle idee illuministe e secolarizzanti che provenivano d’Oltralpe: la loro commovente fedeltà all’ordine tradizionale, civile e religioso, ricevuto quale preziosa eredità dai propri padri e da essi difeso anche a costo della vita (si contano a centinaia di migliaia gl’insorgenti caduti durante la parabola napoleonica, dal 1796 al 1814) rifulge nelle sollevazioni controrivoluzionarie che costellarono da un capo all’altro la Penisola e delle quali i manuali scolastici di storia non fanno parola.
Nel sostanziale tradimento del proprio glorioso passato da parte delle classi dirigenti di allora, sta la spiegazione della dissoluzione della millenaria, gloriosa Repubblica di Venezia.
Verona, tuttavia, si discosta alquanto da questo quadro poco confortante. La città, sul finire del secolo XVIII, conta all’incirca 50.000 anime, che raggiungono le 230.000 comprendendovi anche la provincia. Un moderato benessere economico è diffuso anche nelle classi sociali meno abbienti,favorito da quasi cinquant’anni ininterrotti di pace. Il patriziato veronese, proprietario di cospicui fondi nel contado, migliora le condizioni di vita delle campagne, mentre in città l’antica e celebre industria della seta è ricercata e produce soprattutto per l’estero.
L’amplissima autonomia amministrativa e giurisdizionale di cui gode Verona e la irrisoria pressione fiscale non fanno che accrescere il filiale affetto delle popolazioni verso la Serenissima. La concordia tra le varie classi sociali e lo spirito religioso, straordinariamente radicato in tutti i ceti, completano il quadro di una società ordinata e pacifica, naturalmente ostile alle inaudite idee che dalla Francia giacobina stanno contagiando anche l’Italia Settentrionale. Anche a Verona, infatti, la Massoneria – principale istigatrice della sovversione – cerca aderenti, ma gli affiliati sono pochi e presto l’attenta e discreta vigilanza degli Inquisitori di Stato – forse l’unica magistratura veneziana ancora efficiente ed all’altezza del suo glorioso passato – ne scopre le trame tenebrose, smantellando le logge e disperdendone i membri.
La pressoché assoluta partecipazione popolare alle pratiche cattoliche, un clero ancora immune dall’infezione rivoluzionaria, la presenza di numerosissime confraternite laiche in tutto il territorio impediscono l’affermarsi dell’eresia giansenista, i progressisti di allora, fautrice delle idee sovversive di Francia.
Proprio pochi anni prima delle Pasque Veronesi ricevono la loro formazione religiosa giganti della fede cattolica quali San Gaspare Bertoni, futuro fondatore degli Stimmatini; il Servo di Dio Don Pietro Leonardi; il Beato Carlo Steeb e la Marchesa Santa Maddalena di Canossa, appartenente ad una delle più antiche ed aristocratiche famiglie cittadine, che fonderà nel secolo a venire l’Ordine delle Figlie della Carità, mentre a reggere la Cattedra di San Zeno si trova già dal 1790 il patrizio veneziano ex-gesuita Gianandrea Avogadro, profondamente anti-giansenista e vivace oppositore della dissolutrice filosofia sociale illuminista. Insomma, come riferiva alla Dominante il 25 gennaio 1795 il Marchese Francesco Agdollo, un agente segreto veneziano inviato a Verona per controllare e relazionare sulla presenza tra le mura scaligere del Conte di Lilla, futuro Luigi XVIII Re di Francia: “Nessuna notizia da questa città, il buon ordine, una senza simile popolazione fa apparire essere questa la sede della tranquillità”.
Una risposta
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