LA CACCIA AI TORI A VENEZIA
di Simonetta Dondi dell’Orologio
D’origine antichissima ed incerta, si rinnovò per secoli ad ogni Carnevale, non solo nei campi più spaziosi, come Campo san Polo, ma anche, in occasioni straordinarie, in Piazza San Marco.
Le caccie ai tori si realizzarono fino al 1802, quando in Campo Santo Stefano, a causa del panico provocato da un toro imbizzarrito, crollò una gradinata costruita per l’occasione davanti a Palazzo Morosini e ci furono morti e feriti.
La festa era organizzata in modo sapiente e con regole precise da un uomo ricco di spirito oltreché di denaro, che conosceva le leggi e le buone maniere. Sua primaria urgenza era quella di chiedere al parroco di zona il permesso di svolgere la caccia.
Risolti gli aspetti burocratici, si pubblicizzava la data attraverso una sorta di manifesto affisso nel campo. Da quel momento in poi tutti coloro che abitavano o lavoravano in zona si prodigavano per il buon esito della festa. I proprietari dei palazzi prospicienti sul campo affittavano i propri balconi; i commercianti si rifornivano di merci ed erano garantiti buoni affari per tutti i luoghi di mescita del vino.
Gli attori che davano vita alla festa erano per lo più macellai, garzoni di bottega e gondolieri. Costoro sceglievano presso il macello i buoi di più fiero aspetto, tanto da giustificarne il nome di toro a loro dato. Il giorno della festa gli animali erano condotti nel campo; già l’arrivo era motivo di ilarità: scivolavano dalle barche, scappavano o cadevano in acqua.
Ma in cosa consisteva il gioco vero e proprio? Ci sono varie versioni riportate. Secondo una I tiratori reggevano lunghe corde legate alle corna del bue per evitare che i cani addestrati azzannassero le orecchie dell’animale. In pratica era un gioco di tira e molla con i cani che aizzavano i buoi. Secondo un’altra versione i tori che venivano sguinzagliati non erano tori, ma vecchi buoi spesso malandati. Gli animali erano quindi trasportati in giro per la piazza, oppure lasciati liberi e rincorsi dai cani, fino a soccombere. Venivano quindi destinati al macello.
Si tratta quindi di uno spettacolo che riassume i temi della Festa di Pamplona, con la corsa dei tori e della Corrida, con l’uccisione del povero animale. Ai nostri occhi appare un gioco crudele ma all’epoca questi giochi suscitarono perfino l’interesse di Torquato Tasso. Egli infatti assistette da un caccia ai tori in onore di Enrico III di Francia e nella Gerusalemme Liberata paragona Clorinda, che si sottrae ai cavalieri cristiani, al bue che si sottrae ai cani:
Tal gran tauro talor ne l’ampio agone
se volge il corno ai cani ond’è seguito
s’arretran essi; e s’a fuggir si pone
ciascun ritorna a seguitarlo ardito
La caccia al toro si svolgeva solitamente in campo San Polo, con una dinamica simile a quella dell’omonima manifestazione a Pamplona in Spagna.
I tori che venivano sguinzagliati però, a differenza di quelli spagnoli che sono giovani, forti e irascibili, erano animali vecchi e bolsi, quando non addirittura dei buoi.
Liberi o legati con funi alle corna, i poveri animali, dopo aver subito maltrattamenti e lazzi dagli umani (si fa per dire, ché erano più bestie loro dei tori), venivano sbranati dai cani e macellati.
Grazie Simonetta per quello che fai, le parole vengono da un Veneziano di terraferma (Campalto), continua così!; è stupendo conoscere il propio passato, conoscere quello che i nostri padri fondatori hanno fatto per far si che Venezia ed il Veneto siano grandi nel mondo.
Con la speranza che tutto questo un giorno serva per risvegliare gli animi dei Veneti ti ringrazio e mi raccomando non mollare!!.
PS. (per quanto poco valga) se ti serve una mano hai tutto il mio appoggio.