Dopo la congiura di
Bajamonte Tiepolo , che fu il fatto che determinó l’istituzione del
Consiglio dei dieci, un altro avvenimento segnó la storia di questa magistratura nei suoi primi decenni di vita. Un’altra
congiura che vide a capo addirittura un Doge:
Marin Falier.
Egli aveva fatto una carriera politica eccezionale divenendo presto uno degli uomini più eminenti della Repubblica. Quando fu eletto Doge (al primo scrutinio) era l’11 settembre del 1354 e stava lavorando come ambasciatore ad Avignone presso il Papa. Aveva oltre settant’anni. Ricoprí più volte tutte le maggiori cariche politiche e civili della Repubblica ed ebbe anche incarichi di carattere militare in terraferma e in mare.
L’unica carica che non raggiunse fu quella di Procuratore di San Marco.
Dalle notizie che abbiamo, sappiamo che la vita del Falier, dopo i primi anni rivolti ai commerci che lo avevano arricchito, fu dedicata completamente al servizio dello Stato con una sua particolare predisposizione all’osservanza scrupolosa delle leggi e alla loro stretta applicazione.
La seconda moglie fu la famosa “bela mujer“, Nicoletta, che sposò oramai vecchio, prima del 1355 figlia del Doge Pietro Gradenigo.
I motivi della partecipazione del Doge Falier in qualità di capo di una rivolta contro lo Stato per la conquista del potere assoluto non sono mai risultati chiari, in particolare se si pensa alla sua fama di persona virtuosa, sapiente, di valore e fedele.
Fatto sta che i congiurati, quasi tutti del popolo, vennero scoperti a seguito della confessione di uno dei partecipanti. In seguito al loro arresto venne fuori, incredibile agli orecchi dei Dieci, il nome del Doge che venne processato e condannato a morte dallo stesso Consiglio del quale, all’età di trent’anni, era stato il Capo.
In qualità di membro del Consiglio dei X , assieme ad Andrea Michiel, aveva avuto l’incarico segreto di cercare e trovare i mezzi per togliere di mezzo Nicolò Querini e soprattutto Bajamonte Tiepolo che non rispettava le disposizioni alle quali era stato condannato arrecando molte noie alla Repubblica e sobillando i cittadini e i nobili della terraferma.
Dopo tale incarico le cronache del tempo tacciono improvvisamente e del Tiepolo non se ne parlerà più, segno probabile che l’incarico e l’impegno dello stesso Falier avevano colpito nel segno indicato.
La condanna del Falier venne eseguita al tramonto del 17 aprile 1355 sul pianerottolo “della scala di pietra” allora esistente nel cortile del Palazzo, dopo averlo privato di tutte le insegne dogali.
La testa mozza fu mostrata ai veneziani riuniti in Piazzetta e il corpo esposto per due giorni nella
Sala del Piovego.
Molto strana la sua partecipazione all’iniziativa, i congiurati appartenevano tutti alla piccola o media borghesia (commercianti, artigiani) e nessun membro della nobiltà sembra aver aderito al movimento eversivo. Egli era uno degli uomini più stimati e considerati della Repubblica e, a parte l’ostilità della famiglia Michiel, dopo la sua elezione a Doge, non si capisce perché in pochissimo tempo fu avviluppato inspiegabilmente in un’atmosfera insanabile di ostilità della quale rimangono a testimonianza una serie di atti perpetrati contro la sua persona. Non ultimo le offese ripetute ed insistenti che tendevano a far apparire il vecchio Doge, personaggio debole e consenziente verso la bella e giovane moglie.
Se furono solo dicerie divulgate per screditarlo, non è possibile affermarlo, certo è che non ebbero mai alcun riscontro nella realtà storica.
Dopo la morte del marito Aloica Falier visse ancora a lungo, fino al 1387, conducendo una vita ritirata nella sua casa a San Severo. Di lei non si parló più e ogni illazione così ferocemente perseguita quando il marito era in vita fu abbandonata: gli ignoti avversari del Falier avevano raggiunto pienamente il loro scopo.
Un libretto contro il Doge, disegni sconci e l’ingiuriosa scritta nella Sala dei Camini dello stesso appartamento dogale “Marino Falier da la bela moier, altri la golde (gode) e lu la mantien“, costituiscono alcune di quelle manifestazioni rivolte contro il Doge.
La scritta fu opera di alcuni giovani nobili scapestrati tra cui venne fatto il nome di Michele Steno che, dopo un periodo dissipato e violento, divenne uomo di grande affidamento così da ricoprire importanti cariche governative fino a raggiungere nel 1400 il soglio dogale.
Pare che tra gli Steno e i Falier non corressero buoni rapporti a causa di una violenza perpetrata da uno Steno contro una donna di casa Falier che fu quindi costretto a sposare.
Da tutto ciò si può intendere quanto misterioso sia rimasto questo avvenimento, le ragioni storiche che l’hanno mosso e i sentimenti dei protagonisti: la scoperta del tradimento, le condanne dei colpevoli, la testa del Doge recisa e uno spesso velo steso sull’episodio affinché venisse dimenticato.
liberamente tratto da “Itinerari segreti del Palazzo Ducale” di U. Franzoi