Luca Carnevarjis, un friulano che rese onore a Venezia
di Marina Cionini Visani
Nacque a Udine, nella parrocchia di S. Chiara, il 20genn. 1663 da una ragguardevole famiglia friulana, già nel sec. XVI intestataria nella Carnia del feudo di Gismania.
Del padre, Giovanni Leonardo (nato a Udine nel 1614), annoverato dai contemporanei fra i maestri più insigni, sono oggi perdute le opere di architettura e scultura.
Restano solo, quasi presupposti alla vocazione realistica del figlio, un ritratto del Medico Chiave col figlio (1656; cfr. Perusini, 1961)e un disegno, Vedute prospettiche di Udine (inchiostro e colori su carta, firmato e datato Udine 1ºag. 1668, diviso in sei caselle; come il precedente è conservato nel Museo civico di Udine; per la Pianta di Udine del C., cfr. Rizzi,1962).Si conserva inoltre il suo progetto per uno “sgabello” monumentale, non realizzato, per il duomo di Udine (Udine, Arch. com., vol. D.XXI, f. 41). Morì a Udine nel 1669; già nel 1666 era morta la madre del C., Anna Jugali.
Il ragazzo fu allevato dalla sorella maggiore Cassandra, con la quale si trasferì nel 1679 a Venezia, nella casa di proprietà del monastero dei Carmini che restò sua dimora per tutta la vita. Nel 1699 sposò a Venezia Giovanna, figlia dell’orafo Bastian Suchietti; testimone alle nozze fu il conte Pietro Zenobio, amico e mecenate del pittore. Da Giovanna, morta appena ventisettenne nel gennaio 1710, ebbe quattro figli, fra cui Marianna, allieva di Rosalba Carriera.
Il 27 maggio 1701, con dedica al doge Alvise Mocenigo, il C. pubblicava centoquattro acqueforti intitolate Le fabriche e vedute di Venetia disegnate, poste in prospettiva et intagliate da L. C. con privilegii (disegni preparatori sono conservati al British Museum; notevoli cambiamenti sono riscontrabili nelle edizioni successive). Nel 1704 Stefano Conti, collezionista lucchese, gli commissionò “tre quadri in tela con figurine piccole rappresentanti tre prospettive di Venezia” che, consegnati nel 1707, sono oggi dispersi (Haskell, 1956). Il Rizzi (1967, pp. 14, 16, 89) suppone che il C. abbia incontrato a Livorno nel 1707 Christopher Crowe, console inglese a Genova dal 1720 al 1730, che avrebbe acquistato direttamente dall’artista, nel 1722, quattro vedute (forse a Kiplin Hall-Scorton, nella coll. B. Talbot, ma quella con il Molo verso la riva degli Schiavoni è oggi nel Norton Simon Museum diPasadena in California). Dal 1708 al 1713 il C. risulta iscritto alla fraglia veneziana dei pittori (T. Pignatti in Boll. dei musei civ.venez., 1965, p. 23).
L’attività di pittore si alternava a quella di esperto di architettura: nel 1712, insieme con l’architetto G. Scalfarotto, al C. venne richiesto a Conegliano di un parere sulla costruzione di un convento per il priorato di S. Maria del Monte; nel 1714 tenne a Udine una relazione sui lavori in corso nel duomo, quale “soggetto intendentissimo d’architettura” (in Mauroner, p. 42). Il 26 maggio e il 7 giugno del 1727 fece il testamento, che dimostra la notevole agiatezza da lui goduta. Colpito da un principio di paralisi progressiva nel 1728, il C. morì un anno e mezzo dopo, il 12 febbraio del 1729, e venne sepolto nella chiesa dei Carmini. Secondo la descrizione del Temanza, “fu uomo di bell’aspetto, grande anzichenò… vestiva con proprietà, ed aveva parrucca bionda”. È del 1724 il suo ritratto, eseguito da B. Nazzari e inciso da G. A. Faldoni, dove è proclamato “mathematicae cultor egregius”.
Il C. non ebbe “positivo maestro”, ma studiò “or qua or là” (Orlandi, 1704); e certamente a Venezia non dovettero parere congeniali al giovane gli artisti ivi operanti, a eccezione forse di J. Heintz, il pittore tedesco spentosi nella città lagunare nel 1678, la cui pittura, evadendo dai soggetti allora consueti, aveva già tentato la narrazione dell’episodio minuto e vivace colto nel suo ambiente. Alla fase primitiva – fra il 1680 e il 1685 – dello stile del C., ancora legata al gusto dello Heintz, va riferita una Regata inCanal Grande, siglata L.C.V. (“Luca Carlevariis Vtinensis”) della Galleria Estense di Modena, che testimonia il precoce interesse vedutistico dell’artista. Alla nativa predisposizione fornì stimoli e base culturale il viaggio a Roma che – sebbene non documentato – la critica ritiene certo, tra il 1685 e il 1690: qui infatti il giovane dovette meditare le opere di Van Laer, del Cerquozzi e di Salvator Rosa, le rigide prospettive del Codazzi, la visione lirico-fenomenica di Claude Lorrain; e soprattutto qui ebbe l’incontro determinante con Gaspar Van Wittel – incontro che si ripeterà a Venezia nel 1694 – in seguito al quale ai primi stimoli all’osservazione popolare si sovrappose la volontà di una rigorosa analisi topografica. A Firenze, dove aveva gran fama G. Parigi, incisore e prospettico, e dove erano di gran moda i temi satirico-popolareschi vicini alle “bambocciate” romane, e a Bologna – dalla lezione dell’illusionismo scenografico del Bibbiena – il C. deve aver completato quell’educazione acquisita “qua e là”.
Sin dalle prime vedute “ideate” (i due Capricci, Udine, Museo civico; le due Scene bibliche, Venezia, S. Pantalon; i tre pannelli di Ca’ Zenobio, il Porto fluviale con ponte di Ca’ Rezzonico e il Paesaggio con rovine, Padova, Museo civico), che pur richiamano l’esperienza romana, è evidente il tentativo di evadere sia dalla posizione sin troppo eloquente del Rosa sia dai rigidi schemi delle architetture romaniste: all’impianto scenografico il C. aggiunge l’elemento macchiettistico, umanissimo e disinvolto, che stempera la asprezza geometrica degli edifici e dà toni meno drammatici alle ombreggiature dell’ultimo barocco. Tuttavia soltanto nel 1703 egli testimonia l’avvenuta conversione al vedutismo topografico con la pubblicazione dell’album delle incisioni, presupposto fondamentale del vedutismo veneziano: al tono distaccato e alla luce scialba del Van Wittel il C. oppone l’osservazione diretta dei luoghi e la luminosità viva; i tagli netti, i segni paralleli, le svirgolature evocano, senza arruffamenti, i cieli dilatati e le liquide distese, con una meticolosità da scienziato, che spesso fa uso – in ossequio a tale esigenza di precisione – del “pettine” e della “camera oscura”.