L’ULTIMA EPOPEA DEGLI SCHIAVONI A VERONA
Pronti a battersi fino alla fine, a Verona insieme a popolani e a fanti dell’esercito veneto (non furono certo solo loro a impugnare le armi, su questo Concina sbaglia).
A loro ricordo, una deliziosa poesia, scritta in quei giorni, la lingua è quella veneta con grandi influenze dalmatine, (i termini “muli” per uomini, ancor in uso a Trieste, e “mucchi” zitto ne sono un esempio) e ve la ripropongo non solo come omaggio a quei soldati così fedeli a san Marco, ma anche come curiosità linguistica. Molto interessante. E divertente, anche se struggente, pensando che erano gli ultimi giorni della grande Venezia.
Ah pascia viro, (maiale) ti e anca to mare
ti dormi quà su ponte? Ah Maledeto!
in stato de san Marco, nostro Pare!
come ti fussi a casa, in to leto?
Ti ga razon che nostro benedeto
Prencipe te vol ben, te vol salvare,
e a mio Palosso (la temibile schiavona) messo ga luchetto,
che te voria da amigo saludare.
Oh se podesse… ma zà che no posso
(perché zà muli cata sorte a muchj)
far rossa to camisa con Palosso:
va, porta in acua, giavalo (diavolo), culate…
ma ti se ti xe amigo, Adese, mucchi
Se Prencipe lo sa povero brate.
Deliziosa, vero? <3
Approfitto per mettervi la mia ricostruzione dell’uniforme di alta e bassa montura di questi valorosi militi.
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