L’USO DEI VENETI ANTICHI DELLE OFFERTE ALLE CORNACCHIE. LE TANGENTI DI ALLORA.
Ne parla un intellettuale dell’antichità, Claudio Eliano, Sofista (170 c.a. – 235 c.a). Discepolo del sofista Pausania di Cesarea, ma romano di costumi e di sentimenti, parlava e scrisse in greco attico (fu appunto detto μελίγλωττος, dalla lingua dolce come il miele).
Teopompo narra che gli Eneti che abitano lungo l’Adriatico, quando è il momento dell’aratura e della semina, offrono alle cornacchie doni consistenti sotto forma di pani e focacce, impastate molto bene. L’offerta di questi doni vuole allettare e stabilire una tregua con le cornacchie in modo che esse non scavino e non raccolgano il frutto di Demetra (cioè la semina) affidato alla terra.
Lico concorda con questo racconto e vi aggiunge che gli Eneti portano anche cinghie purporee e che gli offerenti poi se ne vanno. Gli stormi delle cornacchie rimangono fuori dai confini, mentre due o tre di esse sono scelte e mandate verso i messi che vengono dai borghi, per rendersi conto dell’insieme dei doni. Dopo l’esame, fanno ritorno, e chiamano le altre, per il loro istinto naturale… Arrivano dunque a nugoli, e se assaggiano le offerte suddette, gli Eneti sanno di essere in stato di intesa con gli uccelli, se invece non le curano sprezzandole come troppo modeste, gli abitanti di quei luoghi restano convinti che il costo di quel disprezzo sia per loro la fame.
Se infatti gli uccelli non si cibano delle offerte, e in pratica non si lasciano corrompere, essi caleranno sui campi saccheggiando gran parte delle sementi, scandole e cercandole con rabbia crescente.
Insomma, già allora le tangenti erano una prassi praticata in questo caso, per evitare guai peggiori. Mi sembrava interessante proporvi questa piccola ma importante testimonianza sulla maniera di vivere dei nostri progenitori.