Morire per Venezia
di Laura C.
Come le spoglie di Marcantonio Bragadin (1523- 1571) tornarono a Venezia
Qualcuno dice che fosse una notte di diluvio illuminata soltanto dai lampi e che il buio aiutò il marinaio nel raggiungere il porto attraverso stradine deserte, guidato unicamente dalla grande fiamma accesa del faro più grande, rendendo così più facile il lavoro degli inseguitori.
Le navi erano ancorate e legate ai moli per resistere alle onde sempre più forti. Sulla torre esterna dell’arsenale gli uomini di guardia cercarono un posto più riparato tanto che non si vedeva niente dietro il muro d’acqua ed era impossibile dare l’allarme.
All’interno i guardiani si rifugiarono nel locale più asciutto. La tempesta allagò le strade per l’arsenale e le svuotò. Al marinaio sembrò di muoversi a Venezia come quella volta che aveva dovuto affrontare una marea eccezionale.
È quasi una scena di un vecchio film in bianco e nero: l’acqua che scende, lampi che illuminano muri massicci e il mare che si agita. L’impresa impossibile riuscì! Girolamo Polidori nascosto sotto il mantello e da un cappuccio, scese fino al porto dove una barca l’aspettava per condurlo al largo, qui attendeva una nave veneziana senza bandiera per sfuggire a controlli e spie.
Doveva sembrare un’imbarcazione anonima di quelle che sfidano mori e cristiani per i loro traffici e che contavano sulla velocità e si rendevano invisibili. Fu una fuga rapidissima sotto la tempesta per accumulare vantaggio prima che i turchi si accorgessero del furto e incominciassero inseguimento con le loro navi.
Qualche altro dice invece che la notte fosse limpida e che fu proprio questo ad agevolare la fuga ingannando i guardiani facendo arrivare Polidori in tempo all’appuntamento con l’imbarcazione che doveva condurlo fino alla nave all’ancora, fuori del porto. Tutti però sono concordi nel riferire che lo sbarco di Polidori a Venezia con la reliquia laica delle dell’eroe di Famagosta fu accolto col tripudio di una battaglia vinta con il clamore di un successo importante nella guerra contro i turchi.
Quella notte Girolamo Polidori marinaio veronese agli ordini della Repubblica era riuscito a penetrare nell’Arsenale di Costantinopoli da una porta lasciata socchiusa. Pare avesse corrotto alcuni guardiani che dovevano tenere al buio i corridoi del piano terra. Non visto salì fino alla cella dove in una cassetta di piombo i turchi avevano ripiegato come fogli sovrapposti la pelle di Marcantonio Bragadin. L’eroico difensore di Famagosta che nel luglio di 9 anni prima era stato scuoiato vivo per ordine di Mustafà Pascia.
Come un trofeo quella pelle era stata ricucita impagliata e issata nella nave ammiraglia, portata in trionfo nella capitale e, infine, custodita nell’Arsenale. […] Polidori aveva conosciuto e apprezzato Bragadin, aveva combattuto ai suoi ordini ed era stato costretto ad assistere al suo supplizio. Aveva giurato, se fosse tornato libero, di fare di tutto per riportare a Venezia le spoglie del comandante. Polidori era al corrente di dove i turchi custodivano la teca. Recuperati i resti li chiuse in una botte per vivande e raggiunse il largo.
Visitando la chiesa di San Giovanni e Paolo, una delle più belle chiese di Venezia, tra i vari monumenti ce n’è uno dedicato a questo eroe della storia di Venezia(vedi foto sotto) dove appunto vi è custodita la pelle del Bragadin
liberamente tratto da ” Grandi Condottieri della Serenissima” Edoardo e Gian Nicola Pittalis, La grande storia Illustrata della Serenissima – Biblioteca dei Leoni.