NAVI VENETE: DALLA GALEA AL GALEONE
segnalatomi da Matteo Marcolin
Il nome galeone potrebbe far pensare che la galea abbia esercitato da parte sua una notevole influenza sulla genesi di questo nuovo tipo di nave, quando invece davvero pochi sono gli elementi strutturali direttamente riconducibili all’antico naviglio.
Il galeone trasse spunto, naturalmente migliorandole, dalle forme navali e dalle velature in uso fino a quel momento, risultando una felice combinazione dall’esperienza maturata con le grandi caracche di Enrico VIII, armate con cannoni nel ponte inferiore, dall’alberatura utilizzata per le caravelle atlantiche, dalla struttura dello scafo delle galere grosse e delle galeazze.
Il galeone darà vita a sua volta ad una nuova fase evolutiva della marineria, che porterà alvascello, il naviglio che concluderà il ciclo della nave da guerra a vela.
La memoria del varo di un galion avvenuta in Arsenale nel 1531 è incisa in una lapide posta a ricordo dell’avvenimento sul muro di un tezon della novissima granda. In questo periodo storico le bocche da fuoco imbarcate erano ancora scarse per quanto riguardava gittata, precisione, e peso del proietto utilizzato. Le murate e le fiancate resistevano ancora bene ai colpi e la perdita della nave era dovuta principalmente alla distruzione dell’alberatura ed eventualmente alla riuscita all’abbordaggio.
Tuttavia il passaggio alle navi da guerra a vela provocò un profondo mutamento della strategia operativa della guerra in mare. Oltre al fatto di poter compiere lunghe navigazioni in alto mare, l’evoluzione della velatura rese i navigli sufficientemente manovrieri, limitando l’immobilità solo durante i momenti di totale mancanza di vento. Anche la battaglia navale cambiò completamente la propria tattica, con le navi che ora si disponevano attaccando in linea di fila, non più frontalmente, e con l’ammiraglia situata in genere al centro dello schieramento.
Ancorato, è il caso di dirlo, al passato, il secolo evolutivo del galeone passò senza che il Senato si decidesse mai a dare credito sufficiente a questa importante novità; solo gli avvenimenti del XVII secolo, quando però ormai tutte le marinerie erano ormai a vela, spinsero la Repubblica ad iniziare ad accettare l’idea che l’epopea della guerra sul mare basata su unità mosse a remi stava decisamente volgendo al termine.
In questo clima di forte indecisione, l’Arsenale per il momento evitava di impegnarsi direttamente in questo tipo di costruzioni, così che i primi vascelli che furono messi a disposizione della marina Veneta vennero in parte noleggiati ed in parte acquistati dall’Inghilterra e dall’Olanda.
Finalmente nel 1660 il Senato ruppe gli indugi ed incaricò ufficialmente l’Arsenale di trarre dal Sol d’Oro, naviglio che era stato acquistato dall’Inghilterra, i piani necessari per costruire il primo vascello della sua storia.
23 dicembre 1667
Giove Fulminante
vascello di primo rango, costruito da Paolo Ottavio Corso, servì per 26 anni venendo disarmato nel 1693. Lungo in chiglia 38 metri (fuori tutto 44,50 praticamente uguale ad unagalera) e largo al madiere metri 10,90.
Il successo che riscosse questo primo naviglio dimostrò che gli Arsenalotti erano assolutamente in grado di affrontare con competenza e con grande capacità tecnica anche costruzioni concettualmente nuove. La nave divenne il modello per quelle che uscirono dall’Arsenale nel periodo di tempo fino al 1691. In 24 anni vennero costruiti 25 vascelli, di cui 5 di primo rango e gli altri di secondo e di terzo, ad eccezione di un solo vascello di primo rango, il San Giovanni Battista, che venne acquistato a Villafranca nel 1684.
Dichiarata conclusa l’esperienza maturata con la classe del Giove Fulminante, la serie successiva cambiò modello di riferimento ispirandosi ora ad un vascello di primo rango sul quale era stata operata una modifica.
Dichiarata conclusa l’esperienza maturata con la classe del Giove Fulminante, la serie successiva cambiò modello di riferimento ispirandosi ora ad un vascello di primo rango sul quale era stata operata una modifica.
1691
San Lorenzo Giustinian
vascello di primo rango, costruito da Giovanni Michiel, con misure simili al Giove Fulminante ma più lungo in colomba (asse della chiglia) di circa un metro.
Questa nuova classe fu adottata per la costruzione dei successivi 28 vascelli che furono portati a termine in Arsenale fra il 1693 e il 1716, fra i quali 20 di primo rango e 8 fra secondo e terzo rango. Anche in questa seconda fase due vascelli furono reperiti sul mercato, rispettivamente uno a Genova e uno a Livorno.
Archiviata anche la classe del San Lorenzo Giustinian, con nuove misure venne varato un terzo modello di vascello di primo rango.
1716 – Leon Trionfante
vascello di primo rango, costruito dal proto Francesco da Ponti, lungo in chiglia 41,50 metri e largo al madiere 11,60 metri. Questa terza impostazione venne adottata per le 15 navi, di cui otto vascelli di primo rango, che vennero costruite in Arsenale nei successivi 16 anni, quindi fino al 1732.
Nel 1740 il Senato decretò di continuare a costruire i vascelli secondo il modello offerto dal Leon Trionfante ma tenendo in opportuna considerazione le modifiche che erano state nel frattempo studiate. Iniziava così la quarta classe di costruzioni navali.
San Carlo Borromeo
vascello di primo rango, costruito introducendo le modifiche della poppa studiate dal proto Marco Nobili. Studiare le forme delle navi su modelli in scala ridotta ed in forma empirica, tuttavia, lasciava sempre aperta la possibilità di errori. Questa quarta classe perdeva troppo facilmente il timone, difetto che alla fine venne imputato alle forme troppo piene della poppa. Il San Carlo Borromeo fu perduto in una burrasca nel 1768 ma nel frattempo altri 16vascelli erano stati nel frattempo costruiti e non tutti furono così fortunati da arrivare al naturale disarmo.
Dopo la fiammata operosa fra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, per il resto del ‘700 l’attività dell’Arsenale andò lentamente spegnendosi. Accantonata dal Senato ogni velleità di politica offensiva, fra le fila dei settecento marangoni, dei cinquecento calafati e dei duecento segadori iniziò a ripercuotersi quel senso di torpore e di lassismo che ormai pervadeva la Repubblica ad ogni livello.
1719 Fedeltà
Vascello impostato nel 1719 e varato nel 1769, quindi rimasto sullo scalo per 50 anni.
Forza
Vascello rimasto sullo scalo per 55 anni.
Oltre ai vascelli, l’Arsenale costruì anche numerose fregate di due classi, le più grandi da 44 o 46 cannoni, le più piccole da 32 bocche da fuoco. Le fregate erano il prodotto della differenziazione dei compiti introdotta presso le marine nel XVIII secolo, navi meno potenti e meno costose dei vascelli ma adatte perfettamente a quei servizi minori per espletare i quali era sufficiente una modesta potenza offensiva:
1724-1730
Sant’Andrea Fregate grandi di secondo rango
San Vincenzo
Compiti di ancora minore impegno, che presso altre marine erano affidati alle corvette, nella Marina veneta erano espletati da imbarcazioni tradizionali come i brigantini e legolette. Nonostante ciò, nell’ultimissimo periodo della Repubblica, si ritrova anche la costruzione di una corvetta.
Aquila Corvetta
I Vascelli di primo, secondo e terzo rango non differivano molto per la tipologia costruttiva, tranne che per le dimensioni e quindi di riflesso per il numero dei cannoni che potevano imbarcare. Un vascello di primo rango imbarcava da 70 a 74 cannoni e costituiva la nave più diffusa, l’ossatura di tutte le flotte. I vascelli veneti di secondo rango erano armati con 66 cannoni ed infine quelli di terzo rango da un minimo di 20 ad un massimo di 30 bocche da fuoco.
Per l’opera morta i vascelli costruiti in Arsenale non differivano assolutamente da quelli che si costruivano negli altri paesi, la diversità stava invece nell’opera viva, che dovette essere modificata per evitare un pescaggio incompatibile con i bassi fondali lagunari. Gli scafi veneziani erano mediamente più larghi e con la chiglia meno sporgente, ciò che probabilmente li rendeva complessivamente meno veloci e scarsi nell’andatura di bolina. A questo proposito, una certa analogia si riscontra fra gli scafi veneti e quelli degli olandesi, che dovettero superare problemi simili a quelli dei veneziani per poter raggiungere il mare aperto. Per permettere alle navi di superare alcuni passaggi particolarmente bassi, olandesi e veneziani usavano lo stesso accorgimento: coppie di enormi galleggianti ad immersione variabile che venivano affiancati alla nave. A Venezia questi apparecchi erano chiamaticammelli.