QUEL “PHALLUS” UN POCO IMBARAZZANTE CHE COLLEGA VENEZIA AI VENETICI
Solo l’amica Antonella Todesco, signora veneziana di gran classe e cultura, poteva trattare un argomento così delicato ma anche curioso, con grande maestria. Nessun studioso lo aveva evidenziato, ma … anche attraverso un “phallus” si ha un continuum storico lungo 3200 anni.
Antonella Todesco
Luigi Conton, nato a Gambarare (Ve) nel 1866, frequentò a Mogliano Veneto il Ginnasio dei Salesiani e poi a Venezia l’istituto dei padri Cavanis e il Seminario Patriarcale. L’abate rettore dell allora Convitto Nazionale Marco Foscarini lo prese in simpatia e lo invitò ad iscriversi alla facoltà di lettere dell’Università di Padova. Purtroppo troppo poco conosciuto in ambito veneziano, fu per la sottoscritta una sorta di misterioso personaggio di fiaba, il rivelatore di occulti misteri, poiché era spesso presente e citato ad esempio da mio padre, appassionato studioso di vetri e ceramiche antiche. Luigi Conton fu attratto dai cocci ceramici che affioravano dagli scavi dei cantieri, dalle rive dei fossati, dai fiumi e dai litorali della laguna veneta. Si impegnò in una vera e propria ricerca archeologica che portò a risultati sorprendenti. Il suo apporto per la conoscenza della ceramica veneta è, a mio parere determinante e rivoluziona i canoni di bellezza e raffinatezza della ceramica italiana che pone al primo posto la ceramica faentina e quella dell’Italia centrale tra le piú pregevoli manifatture. Attraverso i suoi appunti scopriamo che la ceramica veneziana era già molto famosa e ricercata nel medioevo tanto che nel XIV sec., Riccardo, Re d’Inghilterra, firma un salvacondotto per delle galee veneziane, per lo spaccio, immune da dazio, di vasi di vetro e ceramiche nel porto di Londra.
Ceramiche importanti quindi, artisticamente non inferiori ai ricercati vetri muranesi.
Nel libro ereditato da mio padre, edito nel 1940 da Fantoni Editori di Venezia, sono raccolti gli appunti delle sue ricerche, vorrei condividerne un paragrafo, a mio avviso uno dei più curiosi:
“Tra gli oggetti delle tombe venetiche e di epoca romana di Adria e di Altino, trovai piú volte il “Phallus” in terracotta e in bronzo perché concorresse, esso pure, assieme agli altri oggetti scaramantici, ad allontanare dal defunto gli spiriti malefici: ciò è ampiamente risaputo ma si ignorava il fatto che l’usanza di impiegare l’immagine del Phallus è stata ritrovata ancora viva nella Venezia del 1300.
Lo si trova infatti graffito su qualche piatto, probabilmente destinato ad essere collocato in alcuni punti strategici della casa, o modellato in vetro soffiato, da collocarsi assieme a monete e pergamene nelle fondazioni di signorili palazzi al momento della loro edificazione.
Posseggo uno di questi falli (lungo cm 17) in finissimo vetro di Murano, di colore verde mare, iridato, con nervature di pasta azzurra, tratto in luce davanti ai miei occhi quando fu dovuto abbattere, per vetustà e rifare “ad imis fundamentis” un bel palazzo gotico in Campo Sant Angelo a Venezia.” Probabilmente l’usanza del fallo di buon auspicio continuò molto oltre il XIV secolo, addirittura arrivò al XVII e forse lo superò, seppur con modalità differenti.
Questo putto marmoreo, del sec XVII, assieme allo stemma nobiliare, evidenzia il fallo stretto nella sua mano, era evidentemente inserito in un muro, forse sopra l’ingresso di un palazzo o in un punto strategico dello stesso…
Ogni commento non appropriato verrà cancellato😎